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giovedì 29 dicembre 2011

TRASFORMAZIONE CONTRATTO DA TEMPO PIENO A PART TIME


Con sentenza n. 24476 del 21 novembre 2011, la Cassazione ha affermato che il datore di lavoro non può unilateralmente disporre la riduzione a part-time dell'orario di lavoro, e della relativa retribuzione, di un singolo lavoratore, anche se ciò è imputabile ad una crisi aziendale.
La Suprema Corte ricorda che la trasformazione del rapporto da tempo pieno a part-time è ammessa soltanto se concordata dalle parti e quando si verificano alcune condizioni fondamentali: deve risultante da atto scritto "ad substantiam" e convalidata dalla Direzione territoriale del lavoro dopo aver ascoltato il dipendente (si ricorda che dal 1° gennaio 2012,  viene abrogata la convalida di trasformazione dei contratti di lavoro da tempo pieno a tempo parziale presso la Direzione territoriale del lavoro competente per territorio, così come previsto dalla Legge n. 183 del 12 novembre 2011).

(fonte Guida al diritto - la sentenza a questo link)

Aggiungo che dal 1° gennaio 2012 non sarà più necessaria la convalida da parte della DTL (ex DPL) della trasformazione del rapporto da full time a part time.

martedì 27 dicembre 2011

TRASFERIMENTO DEL LAVORATORE: PROVVEDIMENTO DEL TRIBUNALE DI TORRE ANNUNZIATA SEZIONE LAVORO

In allegato una recentissima ordinanza del Tribunale di Torre Annunziata, GdL dott.ssa Dell'Erario, che, in un giudizio da me patrocinato per parte datoriale, affronta in maniera sistematica e complessiva i presupposti del trasferimento individuale del lavoratore, i limiti di sindacato del Giudice, gli oneri di prova del datore di lavoro e quelli del lavoratore. Inoltre l'ordinanza ben chiarisce i presupposti per il ricorso allo strumento cautelare nel caso del trasferimento. L'ordinanza fa seguito ad altra di simile tenore, e che giunge alle medesime conclusioni, richiamata nel testo del provvedimento e resa da altro Giudice del Tribunale di Torre Annunziata (dott.ssa Palumbo).

Il testo integrale dell'ordinanza a questo link.

lunedì 26 dicembre 2011

CONTRATTO A TERMINE - APPLICABILITA' DELLA PROROGA DEL TERMINE DECADENZIALE - SCIOGLIMENTO DEL RAPPORTO PER MUTUO CONSENSO

Segnalo la recente sentenza del Tribunale di Milano - che allego - in tema di nullità parziale dei contratti a termine.
Evidenzio in particolare che il Tribunale, aderendo ad un orientamento oramai maggioritario ma molto controverso, afferma che la proroga dei termini fissati dall'art. 32 della L. 183/2010 è da ritenersi applicabile anche alla fattispecie in esame. La posizione assunta viene motivata in maniera, ritengo, convincente, soprattutto perchè è evidente che con la riforma l'impugnativa di licenziamento ("classica") e l'azione di nullità parziale, vengono sussunte sotto la medesima norma rappresentata dall'art. 6 della L. n. 604/1966, norma che è poi l'effettivo oggetto del milleproroghe.
Inoltre la sentenza, diversamente da quanto sostenuto da qualche GL del Tribunale di Napoli, chiarisce che l'instaurazione di rapporti di lavoro sopo la chiusura del rapporto oggetto d'azione giudiziaria, solo in via eccezionale può concretizzare la ricorrenza dello scioglimento del rapporto per mutuo consenso.   
Inoltre il Tribunale afferma che il contratto a termine per ragioni sostitutive deve prevedere il nominativo del soggetto sostituito, muovendosi in direzione contraria rispetto ad alcuni GL nostrani. 
Sul punto il Tribunale afferma
"La società convenuta si è limitata a fornire indicazioni sul numero delle giornate di ferie o di giornate di assenza del personale per corsi di addestramento che non spiega in alcun modo quale rapporto vi sia tra l'esigenza di assunzione temporanea della ricorrente e le indicate assenze anche perché non è specificato di quelle assenze per ferie o corsi di addestramento quanti fossero addetti alla attività di assistente di volo; né alcuna prova sarebbe possibile sulle deduzioni di cui si discute.
Sicché, ad un problema di carente indicazione delle ragioni della sostituzione in astratto si è aggiunta anche una insufficiente indicazione in concreto dei lavoratori effettivamente sostituiti: ciò - per un verso - denuncia proprio la fragilità della causa di apposizione del termine la quale, generica nel contratto, non ha superato quella soglia di indeterminatezza nemmeno in un momento successivo, cioè all'atto di provare la sussistenza della causale; per altro verso, e con riferimento al processo, non ha nemmeno consentito di effettuare alcuna prova al riguardo".


Tribunale di Milano, sez. Lavoro, sentenza 13dicembre 2011, n. 6104

giovedì 8 dicembre 2011

Cass. 2527/2011 - Interposizione fittizia, la Cassazione riconosce un rapporto diretto con la capogruppo Fiat

Il vero datore di lavoro è quello che effettivamente utilizza le prestazioni lavorative, anche se i lavoratori sono stati formalmente assunti da un altro (datore apparente) e prescindendosi da ogni indagine (che tra l'altro risulterebbe particolarmente difficoltosa) sull'esistenza di accordi fraudolenti (fra interponente ed interposto).
Sulla scorta di questo principio la Cassazione ha riconosciuto la sussistenza di un rapporto di lavoro diretto tra un lavoratore ed il gruppo Fiat. 
A questo link l'interessante sentenza dalle rilevanti conseguenze pratiche.

LAVORO A NERO: COME VENGONO DISCIPLINATI GLI OBBLIGHI CONTRIBUTIVI E FISCALI TRA DATORE DI LAVORO E LAVORATORE

Allorché il datore di lavoro sia inadempiente agli obblighi di versamento delle ritenute previdenziali e fiscali, quanto alle previdenziali egli non ha più titolo di rivalersi nei confronti del lavoratore, mentre, quanto alle fiscali, soccorrerà il consueto meccanismo della tassazione dei redditi arretrati, sui quali incomberà al lavoratore, dopo averli materialmente percepiti e dichiarati, corrispondere, su liquidazione del competente ufficio, le relative imposte: pertanto, legittimamente l'esecuzione ha luogo per l'importo dovuto, al lordo cioè di dette ritenute, tanto previdenziali che fiscali.


Autorità:  Cassazione civile  sez. III
Data:  28 settembre 2011
Numero:  n. 19790
Parti:  I.C.L.  C.  V.D.G.
Fonti:  Diritto & Giustizia 2011, 30 settembre

Liceità dell'utilizzo di lavoratori somministrati in appalti endoaziendali


La Direzione Generale per l'Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con interpello n. 37 del 21 settembre 2011, ha risposto ad un quesito del Consiglio Nazionale Forense, in merito all’interpretazione della normativa che disciplina la somministrazione di lavoro di cui agli artt. 20 e ss. del D.Lgs. n. 276/2003 e quella concernente l’appalto di cui all’art. 29 del D.Lgs. n. 276/2003 con riguardo, in particolare, alla legittimità o meno di utilizzo dei lavori somministrati da parte di un appaltatore nell’ambito di appalti c.d. endoaziendali.

 La risposta in sintesi:

"...Sulla base delle considerazioni sopra esposte, la somministrazione a tempo determinato appare in astratto compatibile nell’ambito degli appalti endoaziendali stipulati dall’impresa utilizzatrice, ove risulti che quest’ultima eserciti effettivamente il potere direttivo sui lavoratori e assuma su di sé il rischio dell’esecuzione dell’appalto medesimo; condizioni, queste, che evidentemente vanno verificate in relazione alla singola fattispecie.
Peraltro, in tema di appalto e somministrazione va anche ricordato quanto precisato da questo Ministero con circolare n. 5/2011 e, precedentemente, dalla circolare n. 7/2005. In quest’ultima, in particolare, si è già precisato che “l’attribuzione del potere direttivo e di controllo all’utilizzatore e l’ulteriore precisazione che durante la somministrazione il lavoratore esegue la prestazione nell’interesse dell’utilizzatore comporta che il lavoratore in somministrazione possa svolgere la propria prestazione per la realizzazione di un contratto di appalto. Analogamente il lavoratore in somministrazione potrà essere anche inviato in distacco presso un altro utilizzatore. In entrambe le ipotesi tale possibilità è ovviamente subordinata, rispettivamente, alla genuinità dell’appalto e alla sussistenza dei requisiti dell’interesse e della temporaneità relativamente al distacco".

MANOVRA MONTI - ISPEZIONI IN AZIENDA E L.U.L.


In base all'articolo 11, comma 7, del Decreto Legge n. 201 del 6 dicembre 2011 (c.d. Decreto Monti), è stata abolita la norma che prevedeva un limite di 6 mesi tra un'ispezione e la successiva.
In base all'articolo 40, comma 3, al fine di semplificare gli obblighi di tenuta ed annotazione del registro dei lavoratori, viene modificato il comma 3 dell'articolo 39 del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. In pratica, sarà possibile compilare il Libro Unico del Lavoro (LUL) "entro la fine del mese successivo" e non più "entro il 16 del mese".

Contratti: studi professionali - firmato il nuovo contratto


E' stato siglato il nuovo contratto per  i dipendenti degli studi professionali.
E' previsto un aumento medio mensile di 87,50 euro (per il terzo livello), che verrà corrisposto in 2 tranches: il 60% a ottobre 2011 ed il 40% a gennaio 2012.
Altre novità riguardano la possibilità, per i professionisti collaboratori iscritti all'Albo professionale ma in rapporto di collaborazione a partita iva, del rimborso parziale delle visite specialistiche, delle spese di asilo nido e di assistenza socio-sanitaria a familiari anziani o disabili.
Viene disciplinato l'apprendistato così come innovato dal T.U. n. 167/2011 e viene prevista la possibilità di clausole compromissorie - previste dal c.d. Collegato Lavoro - per affidare ad arbitri la risoluzione delle controversie in materia di lavoro.

venerdì 25 novembre 2011

COLLEGATO LAVORO - LEGITTIMO L'INDENNIZZO PER I CONTRATTI A TERMINE PARZIALMENTE NULLI

La Corte Costituzionale, con la sentenza che allego, ha definitivamente risolto il dubbio di legittimità costituzionale dell'art. 32 del c.d. Collegato lavoro (L. 183/2010).
La Corte afferma:
In definitiva, la normativa impugnata risulta, nell’insieme, adeguata a realizzare un equilibrato componimento dei contrapposti interessi. Al lavoratore garantisce la conversione del contratto di lavoro a termine in un contratto di lavoro a  tempo indeterminato, unitamente ad un’indennità che gli è dovuta sempre e comunque, senza necessità né dell’offerta della prestazione, né di oneri probatori di sorta. Al datore di lavoro, per altro verso, assicura la predeterminazione del risarcimento del danno dovuto per il periodo che intercorre dalla data d’interruzione del rapporto fino a quella dell’accertamento giudiziale del diritto del lavoratore al riconoscimento della durata indeterminata di esso. Ma non oltre, pena la vanificazione della statuizione giudiziale impositiva di un rapporto di lavoro sine die.  


La sentenza integrale al seguente link.

sabato 5 novembre 2011

RIFORMA DELL'APPRENDISTATO: D.LGT 167/2011

A partire dal 25 ottobre 2011 è entrato in vigore il nuovo testo di legge che riforma l'apprendistato. Si tratta di pochi articoli (7 in tutto) che forniscono una definizione dell'apprendistato, la determinazione dei requisiti minimi legali, l'individuazione di tre forme di apprendistato, le sanzioni in caso di violazioni.
Si tratta di un modello che, nell'ottica del Legislatore, dovrà costituire la via maestra per l'accesso dei giovani al mondo del lavoro, con vantaggi indiscutibili per i datori di lavoro sia sotto il profilo della contribuzione che della retribuzione che della flessibilità in uscita.
Tuttavia i criteri fissati per la validità del contratto sono (come peraltro necessario) sensibilmente rigidi, per cui è prevedibile un contenzioso di non poco conto laddove lo strumento verrà utilizzato, come accade ad esempio per i contratti a termine, in maniera eccessivamente "disinvolta" dai datori di lavoro (pensiamo ad esempio alla mancanza di formazione o all'assenza del tutor).
Il tutto senza considerare gli ulteriori requisiti introducibili dalle parti sociali.
Il provvedimento nulla dice in tema di sanzioni civilistiche per l'ipotesi di elusione/violazione della normativa,  limitandosi a disciplinare solo l'aspetto delle sanzioni amministrative.
Applicando tuttavia i criteri adottati in tema di nullità parziale di contratti a termine, v'è da ritenere che tali sanzioni civilistiche non potranno che consistere nella conversione del contratto in contratto a tempo indeterminato con diritto dell'apprendista, eventualmente licenziato a seguito della cessazione del periodo di apprendistato (come consente la normativa), alla reintegra e con diritto alle differenze retributive: infatti il novo modello prevede una retribuzione ridotta di due livelli rispetto a quella applicabile.
Il tutto senza il "paracadute" introdotto per i contratti a termine illegittimi consistente nell'indennizzo tra 2,5 e 10 mensilità (Corte Costituzionale permettendo).

domenica 16 ottobre 2011

MODELLI DI CONTRATTI AZIENDALI REDATTI DAL PROF. ICHINO

In allegato possibili modelli di contratti suscettibili di essere stipulati validamente, a norma dell’accordo interconfederale 28 giugno 2011 e dell’articolo 8 del decreto-legge 13 agosto 2011 n. 138.
I modelli sono stati redatti e resi disponibili dal prof. Pietro ichino.
La seconda traccia è costruita sul modello del “progetto flexsecurity” delineato nel disegno di legge n. 1481/2009 ed è disponibile usando questo link in formato word editabile.


sabato 15 ottobre 2011

IL PART TIME NEL PUBBLICO IMPIEGO DOPO IL COLLEGATO LAVORO


Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Funzione Pubblica
Circolare 30 giugno 2011 n. 9
Trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale – presupposti – rivalutazione delle situazioni di trasformazione gia’ avvenute alla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito nella legge n. 133 del 2008


clicca qui per il testo integrale della circolare

sabato 8 ottobre 2011

DANNO DA USURA PSICOFISICA: DIVERSI CRITERI IN CASO DI SOLO OBBLIGO DI REPERIBILITA'

La Suprema Corte è recentemente intervenuta sul tema del danno da usura psicofisica, molto attuale nella casistica giurisprudenziale (prevalentemente nell'ambito del pubblico impiego), chiarendo che nell'ipotesi in cui il lavoratore non presti effettivamente attività lavorativa nel giorno in cui avrebbe dovuto godere del riposo, ma abbia avuto semplicemente l'obbligo di rendersi reperibile, pur se il danno è ugualmente configurabile in astratto, i criteri per addivenire al risarcimento sono ben diversi e più rigorosi e, soprattutto, il lavoratore non gode della presunzione di danno (che è sempre da dedurre) invocabile nel primo caso.


Cassazione Civile,  07 settembre 2011, n. 18310


La giurisprudenza di questa Corte ha da tempo chiarito che la reperibilità prevista dalla disciplina collettiva si configura come una prestazione strumentale ed accessoria qualitativamente diversa dalla prestazione di lavoro, consistendo nell'obbligo del lavoratore di porsi in condizione di essere prontamente rintracciato, fuori del proprio lavoro, in vista di un'eventuale prestazione lavorativa, e di raggiungere in breve lasso di tempo il luogo di lavoro per eseguirvi la prestazione richiesta.

Pertanto, non equivalendo all'effettiva prestazione lavorativa, il servizio di reperibilità svolto nel giorno destinato al riposo settimanale limita soltanto, senza escluderlo del tutto, il godimento del riposo stesso quindi comporta il diritto non ad un trattamento economico uguale a quello spettante per l'ipotesi di effettiva prestazione di lavoro in quel medesimo giorno bensì ad un trattamento inferiore proporzionato alla minore restrizione della libertà della lavoratore (27477/2008).

La suddetta configurazione della reperibilità esclude che si possa applicare alla fattispecie la giurisprudenza di questa Corte in tema di ristoro della prestazione lavorativa effettivamente resa nel settimo giorno consecutivo, facendo ricorso alla presunzione di sussistenza del danno che questa Corte ha affermato a proposito della maggiore gravosità del lavoro prestato nel giorno destinato riposo (vedi, fra le altre, Cass. 16398/2004). Il doversi tenere disponibile per una eventuale prestazione lavorativa è, infatti, cosa diversa dall'effettuazione in concreto di tale prestazione. L'obbligo di mera disponibilità non seguito dal godimento del riposo compensativo è del pari situazione diversa dalla prestazione di lavoro resa nel giorno destinato al riposo, e non vi è alcuna ragione per ritenere che esso sia di per sé idoneo ad incidere sul tessuto psicofisico del lavoratore così da configurare un danno in re ipsa. D'altra parte, il disagio patito per la reperibilità in giorno festivo non seguita da effettiva attività lavorativa è già monetizzato dalla contrattazione collettiva (vedi Cass. 27477/2008 cit. )

E' certo possibile che quel disagio assuma dimensioni tali da incidere sul piano psicofisico del lavoratore che non possa godere del riposo compensativo, trasformandosi in danno da usura psicofisica ma a tal fine non è sufficiente la mera deduzione di non aver potuto godere appieno il giorno festivo per il connesso impegno di reperibilità, essendo necessario allegare e provare il danno che tale reperibilità ha prodotto. Né è il datore di lavoro a dover dimostrare , diversamente che nel caso di reperibilità attiva, l'idoneità dei benefici contrattuali a fornire l'integrale ristoro il mancato recupero delle energie psicofisiche del lavoratore, essendo invece quest'ultimo a dover provare che la mera reperibilità passiva non seguita da riposo compensativo sia stata produttiva di un danno.

In definitiva, il danno da usura psicofisica si iscrive secondo la più recente giurisprudenza di questa corte (11 novembre 2008 n. 26972) nella categoria unitaria del danno non patrimoniale causato da fatto illecito o da inadempimento contrattuale e la sua risarcibilità presuppone la sussistenza di un pregiudizio concreto patito dal titolare dell'interesse leso, sul quale grava, pertanto, l'onere della relativa specifica deduzione della prova eventualmente anche attraverso presunzioni semplici. Queste, peraltro, -è appena il caso di sottolinearlo- non possono consistere nella mera deduzione di avere reso la prestazione di reperibilità, poiché in tal caso si tornerebbe alla tesi del danno ex se , della quale si è mostrata l'erroneità. In conclusione, il ricorso principale va rigettato.

ART. 39 E PRINCIPIO DI EFFETTIVITA': TRIBUNALE DI TORINO 15.09.2011



Sintetica ma chiara la disamina che il Tribunale fa in premessa della collocazione sistematica ed ordinamentale di quello che viene definito, con locuzione sintetica, "ordinamento sindacale". 
L'analisi parte da una più profonda disamina delle caratteristiche del nostro sistema di fonti del diritto ed evidenzia le evoluzioni che esso ha avuto nel corso degli anni e del dibattito teoretico (da diritto vigente a diritto vivente). 
Le risultanze di tale processo vengono sistematicamente ignorate, o, peggio ancora, meccanicamente ed inconsapevolmente applicate in una prassi giudiziaria connotata da protagonisti ancorati (per formazione e forma mentis) ad una ottocentesca visione, rigida e formalistica, delle fonti di produzione normativa. 
In tal senso l'art. 39 cost. e, più in generale il diritto del lavoro, fungono senza dubbio da campo di pratica e, nel contempo, da leva di cambiamento dello status quo, imponendo la considerazione del conflitto sociale e della logica del compromesso quale sistema dinamico di produzione normativa e di nuove prospettive di cambiamento. ecco perchè ritengo che il diritto del lavoro, più di ogni altro ambito giuridico, contenga in potenza una  forte spinta di innovazione e cambiamento.
Alla inconscia ostilità per le fonti di produzione normativa "extra-statuali" è dovuta, a ben vedere, la pregiudiziale ostilità all'art. 8 della L. 148/2011, una sorta di horror vacui che ha quindi un fondamento culturale profondo e radicato, ma che è giunto il momento di superare non solo, ripeto, per meccanica applicazione di principi elaborati dalla più avanzata dottrina e giurisprudenza, ma anche per garantire una dinamicità del sistema di produzione normativa al passo con i nuovi scenari, avendo il potere legislativo dato ampia dimostrazione di non riuscire ad interpretare le nuove istanze in tempo utile (fatte le debite eccezioni). 




Art. 39 Cost., principio di effettività, ordinamento sindacale.
è convinzione consolidata tra gli studiosi di diritto del lavoro e di diritto sindacale, da quanto meno trent'anni, che, pur nella persistente inattuazione della seconda parte dell'art. 39 Cost., essa abbia nei fatti trovato un suo radicamento, che ha consentito di attribuire al Contratto Collettivo, nel corso del tempo, la posizione di reale fonte del diritto.
Questa comune convinzione ruota intorno a due capisaldi, il primo dei quali è rappresentato dal principio di effettività, che governa le relazioni industriali, ed il secondo è costituito dall'autonomia (seppur relativa) dell'ordinamento sindacale rispetto all'ordinamento statale.
Iniziamo dal principio di effettività, che com'è noto si è venuto formando nell'ambito degli studi giuridici alla fine del Settecento in Francia e ha poi trovato una precisa e definitiva formulazione negli anni '30 del Novecento da parte di Hans Kelsen (21).
Tale principio può così essere formulato (22):
se l'istituzione di un potere capace di porre norme, il cui ordinamento è di efficacia durevole in un ambito determinato, rappresenta dal punto di vista dei diritto positivo un'autorità che pone il diritto, ciò è dovuto al fatto che questa qualità gli è conferita dal generale riconoscimento o anche, ciò che lo stesso, dal fatto che questo riconoscimento lo autorizza a porre il diritto.
Si tratta di un principio che in certo modo tempera la visione tradizionale del diritto inteso come struttura formale costruita a gradi (23), in cui la fonte superiore legittima quella inferiore e così via.
La realtà degli ordinamenti giuridici contemporanei, infatti, ha evidenziato e fatto emergere, nel corso dei Novecento e nella complessità della società industriale avanzata, l'esistenza di ambiti di produzione normativa autonomi rispetto alle tradizionali fonti statali di produzione del diritto, governate dal principio di effettività e fondate sullo stabile riconoscimento da parte delle categorie professionali di riferimento.
In sostanza si tratta di considerazioni ricavate dall'esperienza concreta, la quale in linea di fatto segnala l'esistenza di corpi normativi diversi da quelli tradizionali, di origine statuale, che è possibile rilevare attraverso strumenti diversi da quelli strettamente giuridici e che rimandano all'osservazione sociologica del diritto.
Il primo autore che all'inizio del Novecento ha dato corpo e fondamento a questo tipo di osservazione è Eugen Ehrlich, fondatore della sociologia dei diritto, al quale si deve la locuzione "lebendes Recht" e cioè "diritto vivente", in contrapposizione a "geltendes Recht", vale a dire "diritto vigente", espressione cioè - in senso positivistico - della statualità delle norme giuridiche (24).
Da quella prima intuizione molte cose sono mutate, con il trascorrere del tempo, e possono essere oggi rappresentate richiamando il seguente passo dovuto a uno dei più acuti osservatori contemporanei delle trasformazioni degli assetti giuridici, Norberto Bobbio, il quale così scrive (25):
"non c'è dubbio che uno degli aspetti più interessanti della discussione intorno al diritto in questi anni è la messa in questione delle fonti tradizionali delle norme giuridiche, anche nei paesi continentali. Questa messa in questione va di pari passo con il rilievo sempre maggiore dato alle cosiddette fonti extralegislative (o addirittura extrastatuali). Che la fonte principale di diritto fosse nello Stato moderno la legge, cioè la norma tendenzialmente generale e astratta posta da un organo a ciò specificamente e in modo esclusivo delegato dalla costituzione, è stato uno dei dogmi del positivismo giuridico in senso stretto: uno degli aspetti attraverso cui si manifesta la crisi del positivismo giuridico è la crescente consapevolezza dell'emergere di altre fonti del diritto che minano il monopolio della produzione giuridica detenuto dalla legge in una società in rapida trasformazione e intensamente conflittuale, come la società capitalistica nell'attuale fase di sviluppo. Le regioni in cui il fenomeno della produzione giuridica extralegislativa si manifesta con maggiore evidenza sono appunto quelle che caratterizzano la società industriale, cioè il diritto dell'impresa e il diritto del lavoro e sindacale".
Tornando a questo punto al principio di effettività va detto che il suo utilizzo, nell'ambito del diritto sindacale, ha avuto un momento di indubbio riscontro e impulso intorno alla metà degli anni '80 del Novecento, allorché sulle riviste giuridiche specializzate si sviluppa il dibattito sui cd. "trentanovismo", con riferimento alla seconda parte dell'art. 39 Cost., alla sua perdurante inattuazione formale, ma anche alla presenza di C.C.N.L. stipulati da sindacati mag-gioritari, come previsto dal 3 comma di tale articolo.
Tale dibattito, introdotto da un articolo dai titolo "Il Trentanovismo è nelle cose" (26) cui sono poi seguiti interventi e replica (27), contribuisce in certo modo a consolidare una nuova prospettiva, senza dubbio da un'angolatura empirica e sociologica, da cui considerare l'ordinamento sindacale e delineare così le sue reali regole di funzionamento.
La prospettiva nuova porta, in progresso di tempo, a ritenere, per comune e consolidata convinzione,
[a] l'ordinamento sindacale come originario, in quanto prescinde dal riconoscimento di quello statale, fondandosi esso sulla reciproca legittimazione e cioè sul reciproco riconoscimento tra organizzazioni sindacali dei prestatori e dei datori di lavoro, costituente la Grundnorm del medesimo (28),
[b] il Contratto Collettivo e le sue norme quali vere e proprie fonti del diritto, come tali dotate, al pari della legge, di efficacia obbligatoria per le categorie di riferimento.
Di tale ultima situazione, indicata sub [b], fa fede la testimonianza autorevole di Norberto Bobbio, che così scrive (29):
"In una società industriale di tipo conflittualistico, il contratto collettivo diventa per un'enorme massa di persone una fonte di regole d'importanza assai più vitale che non la maggior parte delle leggi e leggine emanate dagli organi legislativi".
Questo stato di cose in ordine alla portata del Contratto Collettivo è altresì riscontrabile, seppur sotto traccia, attraverso un attento esame della complessiva giurisprudenza della Corte Costituzionale, come dimostrato da un'autorevole relazione tenuta il 24 maggio 2006 in un convegno organizzato congiuntamente dall'Accademia dei Lincei e dalla Corte Costituzionale (30).
Quanto poi alle regole di funzionamento dell'ordinamento sindacale, va detto che la loro peculiare caratteristica è di essere completamente diverse da quelle statuali, le quali ultime, come è noto, sì fondano sulla distinzione tra norme che regolano la produzione del diritto e norme oggetto di produzione normativa, talché queste ultime trovano la loro legittimazione nelle prime e non sono concepibili se non attraverso un procedimento controllato e definito, destinato a renderle valide solo in quanto rispettano il previsto sistema di produzione normativa.
Le norme che contrassegnano e costituiscono l'ordinamento sindacale, invece, scaturiscono propriamente dalle relazioni industriali e cioè dal conflitto sociale e dai rapporti di forza che questo genera; questo stato di cose fa sì che tali regole debbano essere inquadrate e sussunte nella categoria che nella teoria generale del diritto è conosciuta e definita come "fatto normativo" (31) o "norma extra ordinem" (32), la cui caratteristica è di autoqualificarsi come normative, nei mentre vengono prodotte; in sostanza le regole così venute ad esistenza esprimono al tempo stesso, per così dire, la norma prodotta e la norma sulla produzione (33).
La conseguenza di ciò non sono di non poco momento, nel senso che a dar conto del funzionamento dell'ordinamento sindacale e cioè della sua capacità di assicurare la regolarità dell'osservanza delle sue regole altro non può essere che il riconoscimento che i soggetti interessati e destinatari delle stesse le attribuiscono nel tempo.
Questo tipo di situazione non è percepibile allorché il riconoscimento risulta stabile nel tempo; mentre, viceversa, nel caso in cui accadimenti esterni tendano ad alterare la permanenza di esso, ci si approssima allora a contesti in cui - e a decidere le cose non possono che essere ancora una volta i rapporti di forza che contrassegnano le relazioni industriali - è possibile un mutamento delle norme in vigore fino a quel momento, sol che esse trovino in un nuovo riconoscimento la loro fonte di legittimazione.
Anche lo stesso principio di gerarchia delle fonti normative, che è indubbiamente riscontrabile all'interno dell'ordinamento sindacale (si pensi, ad esempio, ai rapporti tra Accordo Governo-Parti Sociali, contenente le regole sulla contrattazione nazionale, e contrattazione subordinata a tali regole o tra Accordo Interconfederale che disciplina la contrattazione collettiva e Contratto Collettivo o tra Contratto Collettivo Nazionale di settore e Contratto Aziendale interno allo stesso), presenta peraltro portata ed efficacia durevole nel tempo, sino a che le parti sociali, ai diversi livelli, si riconoscono in questo sistema di regole.
La situazione ora descritta è sicuramente riconducibile ad un sistema normativo che presenta una struttura di tipo scalare, in cui la fonte superiore legittima quella inferiore e così via; peraltro si tratta di principio di gerarchia delle fonti che ha una sua validità fondata esclusivamente sul riconoscimento ad opera delle parti sociali.
Con la conseguenza che, ove tale riconoscimento venga meno, per essere la pregressa regolamentazione sostituita dalle parti contrapposte che avevano posto in essere quella precedente, la situazione normativa sarà allora destinata ad assestarsi su equilibri, se del caso, anche assai diversi rispetto a quelli per l'innanzi esistenti.
Ed è ovvio che solo il principio di effettività potrà poi dar conto della capacità di quelle nuove norme di regolare i rapporti sociali; solo alla prova dei fatti è invero possibile stabilire ed inferire se un mutamento normativo intervenuto nell'ambito dell'ordinamento sindacale sia o meno legittimo, essendo il criterio di legittimazione un criterio di ordine meramente fattuale.

ART. 28 SDL - SENT. TRIBUNALE TORINO 15 SETTEMBRE 2011

La sentenza del Tribunale di Torino che ha deciso in ordine alla validità degli accordi separati Fiat a Pomigliano, contiene spunti di riflessione anche su altre importanti questioni sia di carattere procedurale che sostanziale. Il primo riguarda l'ambito applicativo dell'art. 28 SDL. In particolare si discute se il comportamento sindacale possa essere fatto valere a emzzo del ricorso ordinario ex art. 414 cpc da parte di soggetto (sindacato nazionale e non sua articolazione territoriale) formalmente ed espressamente non ammessa alla tutela ex art. 28 SdL.


La risposta del Tribunale, molto argomentata, si conclude come di seguito:


A conclusione di questo excursus si può quindi delineare la fattispecie ex art. 28 dello Statuto dei Lavoratori nei termini che seguono, Siamo in presenza, innanzitutto, di enunciato normativo che contiene aspetti sostanziali, che rimandano ad altre norme, e aspetti di carattere processuale, che definiscono una procedura d'urgenza. Le due situazioni non sono necessariamente connesse, con la conseguenza che può essere ammesso alla tutela sostanziale anche un soggetto che non ha viceversa accesso all'art. 28 Stat. Lav., inteso come procedimento speciale; la normativa di carattere sostanziale quindi offre una tutela, anche in ragione del rinvio da essa operato ad altre norme, ad una pluralità di soggetti, i quali, se lesi, avranno a disposizione unicamente il procedimento ordinario e cioè a cognizione piena. In sostanza si può dire che la tecnica normativa utilizzata dal legislatore statutario con l'art. 28 Stat. Lav. è, propriamente, quella del "caso particolare" (20), il quale peraltro contiene elementi espressivi di problematiche che trascendono quel caso particolare. Il caso particolare è di per sé insuscettibile di essere ampliato dall'interprete oltre l'orizzonte delimitato dalia norma, non essendo consentita alcuna interpretazione estensiva. Viceversa la parte di essa, che è espressione di problematiche che trascendono il caso particolare, trova il luogo della sua definizione in altre parti dell'ordinamento (nelle norme costituzionali, in quelle statutarie, in altre norme di rango legislativo e financo nelle norme di carattere collettivo); e sono queste parti che consentono il collegamento con il giudizio ordinario, così da rendere configurabile un procedimento ex art. 28 Stat. Lav., inteso come denuncia di condotta antisindacale, in tutti i casi in cui difettino le condizioni per dare corso al procedimento ex art. 28 Stat. Lav., inteso come insieme delle particolari condizioni che consentono l'accesso alla tute sommaria. In questo quadro, conclusivamente, potrà allora azionare il procedimento ordinario ex art. 28 Stat. Lav. il soggetto che non si trova nelle condizioni per utilizzare il procedimento speciale previsto dall'art. 28 Stat. Lav., come ad es. può avvenire ove faccia difetto l'attualità della condotta, la nazionalità dell'associazione, la natura di organismo locate del denunciante o altro.


Quanto evidenziato nel paragrafo 3. (L'art. 28 Stat. Lav.: norma sostanziale e norma processuale) ci consente inoltre di mettere a fuoco e chiarire le peculiarità dell'enunciato normativo contenuto nell'art. 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300, che possono essere rappresentate nei termini che seguono:
[1] tale norma ha un contenuto sostanziale e un contenuto processuale,
[2] gli aspetti sostanziali della norma non sono definiti dalla norma stessa, se non in rapporto al bene giuridico leso e cioè alla finalità che la condotta oggetto di denuncia obbiettivamente persegue e comporta,
[3] la reale definizione degli aspetti sostanziali, che concernono la lesione della libertà sindacale, trova la propria specifica definizione in altre norme, contenute nella Costituzione, nello Statuto dei Lavoratori, in altre leggi e infine negli accordi sindacali,
[4] questo insieme di norme costituisce il presupposto della tutela offerta dall'art. 28 cit., trattandosi di norme che autonomamente definiscono beni giuridici e regole di condotta e cioè situazioni ritenute dalla legge meritevoli di tutela e, come tali, idonee di per sé a formare oggetto di possibili doglianze e di richieste di intervento da parte del giudice,
[5] in tale contesto la parte processuale dell'art. 28 cit. descrive e delinea un "caso particolare" e cioè una procedura sommaria e urgente, ancorata a speciali condizioni, insuscettibile come tale di interpretazione ed estensione analogica,
[6] le organizzazioni sindacali (ed enti assimilati o assimilabili), che non sono in condizione di poter accedere allo strumento dell'art. 28 cit., inteso quale particolare procedimento sommario e urgente, non avendone i requisiti, possono utilizzare strumento processuale diverso e cioè quello ordinario, al fine di ottenere una tutela ex art. 28 cit., inteso quale norma sostanziale, denunciando condotte datoriali antisindacali e richiedendo gli adeguati provvedimenti del caso.

sabato 1 ottobre 2011

RETRIBUZIONI ARRETRATE - LA CONDANNA DEL DATORE DI LAVORO E' AL LORDO

Cassazione civile sez. III del 28 settembre 2011 n. 19790 ha recentemente chiarito un punto controverso in moltissimi giudizi (direi la quasi totalità) aventi ad oggetto la richiesta di condanna al pagamento delle differenze retributive. La Corte ha affermato: in caso di inadempimento del datore di lavoro all'obbligo di versare i contributi nei termini previsti dalla legge, quest'ultimo resta obbligato in via esclusiva, senza possibilità di rivalersi nei confronti del lavoratore; infatti, la norma che consente al datore di lavoro di operare le ritenute contributive sulla retribuzione del lavoratore (L. 4 aprile 1952, n. 218, art. 19) è di stretta interpretazione e, limitando il diritto di ritenuta del datore di lavoro sulla retribuzione soltanto nel caso di tempestivo pagamento della contribuzione relativa al medesimo periodo, non consente detta forma di recupero ove i contributi siano pagati parzialmente o in ritardo, dovendosi ricomprendere in tale ultima ipotesi il caso (ricorrente nella specie) del ritardato pagamento della retribuzione unitamente ai contributi ad essa riferibili (tra le altre, v. Cass. 17 febbraio 2009, n. 3782); analogamente, quanto alle ritenute fiscali, il meccanismo di queste inerisce ad un momento successivo a quello dell'accertamento e della liquidazione delle spettanze retributive e si pone in relazione al distinto rapporto d'imposta, sul quale il giudice chiamato all'accertamento ed alla liquidazione predetti non ha il potere d'interferire (Cass. 7 luglio 2008, n. 18584; Cass. 11 febbraio 2011, n. 3375); del resto, il lavoratore le vedrà assoggettate, secondo il criterio c.d. di cassa e non, di competenza, a tassazione soltanto una volta che le avrà percepite, facultato oltretutto a scegliere modalità di applicazione di aliquote più favorevoli in rapporto al carattere eccezionale della fonte di reddito nel caso concreto; ne consegue che, allorchè il datore di lavoro sia inadempiente agli obblighi di versamento delle ritenute previdenziali e fiscali, quanto alle previdenziali egli non ha più titolo di rivalersi nei confronti del lavoratore, mentre, quanto alle fiscali, soccorrerà il consueto meccanismo della tassazione dei redditi arretrati, sui quali incomberà al lavoratore, dopo averli materialmente percepiti e dichiarati, corrispondere, su liquidazione del competente ufficio, le relative imposte: pertanto, legittimamente l'esecuzione ha luogo per l'importo dovuto, al lordo cioè di dette ritenute, tanto previdenziali che fiscali. clicca qui per la sentenza completa

mercoledì 28 settembre 2011

SICUREZZA SUL LAVORO: AZIENDA CON PLURALITA' DI CANTIERI E RESPONSABILITA' DATORIALE

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza n. 34723/11; depositata il 26 settembre 2011.

La Corte Suprema, con la sentenza di cui sopra, ritiene che la presenza di personale tecnico non comporti l'automatica attribuzione al medesimo personale delle funzioni del datore di lavoro. È necessaria una delega di funzioni che, anche se non in forma scritta, deve essere tale da dimostrare in concreto che il delegato «riveste effettivamente, con pienezza di poteri decisionali e di intervento e facoltà di spesa, la funzione di responsabile per la sicurezza».
Non basta adottare un organigramma aziendale dal quale risulti che la gestione tecnica sia affidata a personale tecnico, senza ulteriori specificazioni, ma occorra una formale e sostanziale attribuzione di tali poteri.

venerdì 9 settembre 2011

PARTE XII - ART. 8 DEL DL 138/2011 - CONTRATTI DI PROSSIMITA' - GLI EMENDAMENTI DEL SENATO

Riporto di seguito il testo dell'art. 8 come emendato a seguito della discussione in Senato.

All’articolo 8:
al comma 1, le parole: «ovvero dalle rappresentanze sindacali operanti in azienda» sono sostituite dalle seguenti: «o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti, compreso l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011,», dopo le parole: «possono realizzare specifiche intese» sono inserite le seguenti: «con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali,» e dopo le parole: «alla qualità dei contratti di lavoro,» sono inserite le seguenti: «all’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori,»;
al comma 2, alinea, le parole: «incluse quelle relative» sono sostituite dalle seguenti: «con riferimento»;
al comma 2, lettera e), le parole: «e il licenziamento della lavoratrice in concomitanza di matrimonio» sono sostituite dalle seguenti: «, il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio, il licenziamento della lavoratrice dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione al lavoro, nonché fino ad un anno di età del bambino, il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore ed il licenziamento in caso di adozione o affidamento»;
dopo il comma 2, è inserito il seguente:
«2-bis. Fermo restando il rispetto della Costituzione, nonché i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro, le specifiche intese di cui al comma 1 operano anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2 ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro»;
è aggiunto, in fine il seguente comma:
«3-bis. All’articolo 36, comma 1, del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 188, sono apportate le seguenti modifiche:
a) all’alinea, le parole: “e la normativa regolamentare, compatibili con la legislazione comunitaria, ed applicate“ sono sostituite dalle seguenti: “la normativa regolamentare ed i contratti collettivi nazionali di settore, compatibili con la legislazione comunitaria, ed applicati“;
b) dopo la lettera b), è inserita la seguente:
“b-bis) condizioni di lavoro del personale“».

lunedì 5 settembre 2011

PARTE XI - ART. 8 DEL DL 138/2011 - CONTRATTI DI PROSSIMITA' - GLI EMENDAMENTI DELLA COMMISSIONE BILANCIO DEL SENATO - LA PROPOSTA ROSSI - ICHINO

Riporto di seguito la (sostanzialmente condivisibile) proposta di modifica dell'art. 8 avanzata dai Senatori Nicola Rossi e Pietro Ichino, proposta che differisce da quella a firma della Senatrice Finocchiaro ed altri (8.1) che semplicemente chiede di sopprimere l'articolo.

Proposta di modifica 8.3.
Sostituire l'articolo 8 con il seguente:
«Art. 8. - (Misure di sostegno al sistema delle relazioni industriali e per la coniugazione della flessibilità delle strutture produttive con la sicurezza economica e professionale dei lavoratori). – 1. Il contratto collettivo aziendale stipulato da un'organizzazione o coalizione sindacale rappresentativa della maggioranza dei lavoratori interessati, secondo i criteri stabiliti dalla disciplina della materia contenuta in un accordo stipulato dalle confederazioni imprenditoriali e sindacali comparativamente maggiormente rappresentative di cui non sia cessata la vigenza, produce i propri effetti nei confronti di tutti i lavoratori dell'unità produttiva per la quale il contratto stesso è stato stipulato.
2. Il contratto collettivo aziendale di cui al primo comma può disporre che, salva la disciplina vigente in materia di licenziamenti nulli in quanto dettati da motivi discriminatori, o intimati per ragione di matrimonio, o nel periodo di inibizione per la tutela della lavoratrice madre, i rapporti di lavoro dipendente costituiti dopo la sua stipulazione – intendendosi per tali tutti quelli qualificabili come rapporti di lavoro subordinato, nonché gli altri rapporti di collaborazione continuativa, di associazione in partecipazione, o di lavoro associato in cooperativa o in società commerciale, nei quali il prestatore tragga dal rapporto più di due terzi del proprio reddito di lavoro complessivo, salvo che la retribuzione annua lorda annua superi i 40.000 euro – siano assoggettati a una disciplina contrattuale della stabilità e della cessazione del rapporto che:
a) in riferimento al licenziamento disciplinare di cui sia accertata l'illegittimità o comunque difetto di giustificazione attribuisca a entrambe le parti la possibilità di opzione tra la reintegrazione e un indennizzo aggiuntivo;
b) in riferimento al licenziamento per motivo economico od organizzativo sostituisca il controllo giudizi aie circa il motivo con l'obbligo per l'impresa di pagare al lavoratore un'indennità di licenziamento e di erogare al lavoratore un trattamento complementare di disoccupazione e l'assistenza necessaria per il reperimento della nuova occupazione».

Non si può non apprezzare lo differenza tra chi decide la solita ritirata aventiniana e chi, pur dolorosamente, tenta di introdurre una clausola di salvaguardia nell'ambito di quella che ritiene essere comunque una norma non corretta.
Ciò si spiega con la differenza qualitativa tra chi è in grado di formulare in tempi rapidi una proposta ragionata, calandola all'interno di una ben precisa direttiva sistematica già elaborata in precedenza, e chi non solo non ha strumenti per replicare ma che non ha alcun sistema alternativo in prospettiva.



PARTE X - ART. 8 DEL DL 138/2011 - CONTRATTI DI PROSSIMITA' - GLI EMENDAMENTI DELLA COMMISSIONE BILANCIO DEL SENATO

Grande eco mediatica ha suscitato l'esame da parte della Commissione Bilancio del Senato dell'art. 8. Era tuttavia ben noto a tutti che il testo avrebbe sostanzialmente resistito alla richiesta di eliminazione formulata dalle opposizioni parlamentari e dalla CGIL.
Tra tutte le proposte di riforma, questa è quella con maggiore impatto e che ha resistito a tutte le pressioni fino ad ora esercitate (ovviamente resta ancora lo sciopero proclamato dalla CGIL).
V'è infatti da ribadire che la norma è ritenuta sostanzialmente valida sia dalla CISL che dalla UIL (anche perchè il loro core business non è propriamente quello del settore privatistico) e che di fatto essa allarga (a dismisura) gli effetti dell'accordo interconfederale di giugno.

Ma, rinviando ad un successivo post ulteriori spunti di riflessione, mi limito a riportare il testo dell'art. 8 come vigente e il testo degli emendamenti approvati in commissione bilancio. Ovviamente sarà l'Aula parlamentare ad avere l'ultima parola.

Il testo attualmente vigente dell'art. 8 del Decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 188 del 13 agosto 2011 è il seguente:
Art. 8.
(Sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità)
1. I contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale ovvero dalle rappresentanze sindacali operanti in azienda possono realizzare specifiche intese finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività.
2. Le specifiche intese di cui al comma 1 possono riguardare la regolazione delle materie inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione incluse quelle relative:
a) agli impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie;
b) alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale;
c) ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarietà negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro;
d) alla disciplina dell’orario di lavoro;
e) alle modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA, alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio e il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio.
3. Le disposizioni contenute in contratti collettivi aziendali vigenti, approvati e sottoscritti prima dell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 tra le parti sociali, sono efficaci nei confronti di tutto il personale delle unità produttive cui il contratto stesso si riferisce a condizione che sia stato approvato con votazione a maggioranza dei lavoratori.


Gli emendamenti proposti dalla Commissione Bilancio ieri 4.9.11 sono i seguenti:

8.9 (testo 3)
PICHETTO FRATIN
Al comma 1, dopo le parole "comparativamente più rappresentative sul piano nazionale" sono aggiunte le seguenti: "o territoriale" e le parole "ovvero dalle rappresentanze sindacali operanti in azienda" sono sostituite dalle seguenti: "ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti compreso l'accordo interconfederale del 28 giugno 2011".

8.16 (testo 2)
PICHETTO FRATIN
Dopo il comma 2 è inserito il seguente:
"2-bis. Fermo restando il rispetto della Costituzione, nonché i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro, le specifiche intese di cui al comma 1 operano anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2 ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro.
8.1000
IL RELATORE
Al comma 1, dopo le parole "possono realizzare specifiche intese" sono aggiunte le seguenti: "con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali,".

Come previsto, quindi, e passando al dato politico e di prospettiva, dopo aver chiarito l'ampia portata derogatoria degli accordi in Commissione Lavoro, la maggioranza passa a precisare, come richiesto da più parti, l'ambito soggettivo, vale a dire la natura e le caratteristiche delle organizzazioni deputate alla sottoscrizione degli accordi stessi.








martedì 30 agosto 2011

PARTE IX - ART. 8 DEL DL 138/2011 - CONTRATTI DI PROSSIMITA' - IL COMUNICATO DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Riporto il testo del comunicato diramato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri in ordine alla manovra correttiva.
Come si legge, il testo fa espressa menzione delle sole "principali modifiche" che verranno apportate dalla maggioranza. In tali modifiche non vi è alcuna menzione dell'art. 8 e dei contratti di prossimità.
V'è da ritenere che una abrogazione o modifica sostanziale dell'art. 8 sarebbe stata espressamente ed immediatamente indicata, anche per motivi di opportunità.
E' dato quindi desumere che il testo che verrà presentato in aula prevederà le sole modifiche previste in Commissione, delle quale ho già dato conto.

Segue il testo integrale del comunicato.

La riunione di maggioranza presieduta dal Presidente Silvio Berlusconi si è conclusa con le seguenti unanimi determinazioni:

1) Interventi di natura costituzionale:

- dimezzamento del numero dei parlamentari;

- soppressione delle province quali enti statali e conferimento alle regioni delle relative competenze ordinamentali;

2) Il decreto dovrà essere approvato nei tempi previsti e a saldi invariati con le seguenti principali modifiche:

- sostituzione dell’articolo della manovra relativo ai piccoli comuni con un nuovo testo che preveda l’obbligo dello svolgimento in forma di unione di tutte le funzioni fondamentali a partire dall’anno 2013 nonché il mantenimento dei consigli comunali con riduzione dei loro componenti senza indennità o gettone alcuno per i loro membri;

- riduzione dell’impatto della manovra per comuni, province, regioni e regioni a statuto speciale. Attribuzione agli enti territoriali di maggiori poteri e responsabilità nel contrasto all’evasione fiscale con vincolo di destinazione agli stessi del ricavato delle conseguenti maggiori entrate;

- sostituzione del contributo di solidarietà con nuove misure fiscali finalizzate a eliminare l’abuso di intestazioni e interposizioni patrimoniali elusive nonché riduzione delle misure di vantaggio fiscale alle società cooperative;

- contributo di solidarietà a carico dei membri del parlamento;

- mantenimento dell’attuale regime previdenziale già previsto per coloro che abbiano maturato quarant’anni di contributi con esclusione dei periodi relativi al percorso di laurea e al servizio militare che rimangono comunque utili ai fini del calcolo della pensione;

Il governo e il relatore presenteranno le relative proposte emendative, aperti al confronto con l’opposizione nelle sedi parlamentari.



LICENZIAMENTO E OBBLIGO DI SPECIFICAZIONE DEI MOTIVI

Segnalo Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza 5.5.2011 n. 9925, massimata come segue:

Nel caso in cui il lavoratore licenziato chieda al datore di lavoro la comunicazione dei motivi del recesso, la motivazione del licenziamento deve essere sufficientemente specifica e completa, ossia tale da consentire al lavoratore di individuare con chiarezza e precisione la causa del suo licenziamento sì da poter esercitare un'adeguata difesa svolgendo e offrendo idonee osservazioni o giustificazioni, dovendosi ritenere equivalente alla materiale omissione della comunicazione dei motivi la comunicazione che, per la sua assoluta genericità, sia totalmente inidonea ad assolvere il fine cui la norma tende.

Ma è interessante osservare che nella fattispecie esaminata dalla Corte il datore di lavoro, che aveva proceduto ad un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, aveva risposto alla richiesta di motivazioni dal lavoratore precisando l'avvenuta soppressione del posto di lavoro al quale egli era adibito.
La Corte ritiene che il datore di lavoro debba anche assumere precisa posizione in ordine all'impossibilità di diverso utilizzo, oltre a motivare in maniera più pregnante l'avvenuta soppressione del posto di lavoro.

Date le conseguenze che derivano dalla sostanziale omissione dell'obbligo di specificazione dei motivi a seguito della richiesta del lavoratore, è evidente che il datore di lavoro si trova a dover analiticamente giustificare il proprio operato.

lunedì 29 agosto 2011

GRADUATORIE CONCORSUALI INSEGNANTI: COMPETONO AL GIUDICE DEL LAVORO E NON AL TAR

Il Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria con sentenza 12 luglio 2011, n. 11, ribaltando un suo precedente orientamento, ha affermato che "nel caso della giusta posizione o collocazione nella graduatoria permanente ( o ad esaurimento) degli insegnanti, gli atti che vengono in considerazione sono ricompresi tra le determinazioni assunte con la capacità e i poteri del datore di lavoro privato di fronte ai quali sussistono solo diritti soggettivi".
Afferma il CDS:
Mentre in generale una graduatoria approvata in conclusione di una procedura concorsuale subisce un processo di “cristallizzazione”, essendo possibile la sua utilizzazione solo in caso di rinunce o per copertura di posti eventuali in pianta organica resisi disponibili successivamente alla indizione, nei rigorosi limiti di tempo imposti per legge alla vigenza della graduatoria, le graduatorie per l’accesso, in generale, nei ruoli della scuola, non si consolidano mai, dovendo le stesse, per previsione normativa espressa (artt.401, 553 e 554 del d.lgs. n.297 del 1994), essere periodicamente aggiornate e quindi essendo le stesse fisiologicamente “mutevoli”.
La contestazione, come nella specie, riguarda di solito la conformità alle norme dei provvedimenti che hanno determinato la collocazione di un insegnante nella graduatoria provinciale del personale docente.
Il sistema di cui al d.lgs. n.297 del 1994, come integrato e modificato dalle norme successive, contempla la trasformazione delle graduatorie relative ai singoli concorsi in graduatoria permanente (oggi ad esaurimento), realizzando una forma di coordinamento fra la permanente utilizzabilità, nel tempo, della lista dei possibili aspiranti e il diverso momento nel quale ciascun aspirante acquisisce il diritto alla futura, eventuale assunzione, con la previsione della periodica integrazione della graduatoria con l'inserimento dei vincitori dell'ultimo concorso e l'aggiornamento contestuale delle posizioni dei vincitori in epoca precedente, con salvezza delle posizioni di questi ultimi.
L’affermazione della residuale giurisdizione amministrativa sulle controversie inerenti a procedure concorsuali per l'assunzione, contemplata dal d.lgs. n.165 del 2001, art. 63, comma 4, deve essere limitata quindi a quelle procedure che iniziano con l'emanazione di un bando e sono caratterizzate dalla valutazione comparativa dei candidati e dalla compilazione finale di una graduatoria, la cui approvazione, individuando i "vincitori", rappresenta l'atto terminale del procedimento.
In tale nozione di concorso non è compresa la fattispecie dell'inserimento in apposita graduatoria di coloro che siano in possesso di determinati requisiti (anche derivanti dalla partecipazione a concorsi) e che è preordinata al conferimento dei posti lavoro che si renderanno disponibili. Infatti l'assenza di un bando, di una procedura di valutazione e, soprattutto, dell'atto di approvazione, colloca l'ipotesi fuori della fattispecie concorsuale e comporta che sia il giudice ordinario a tutelare la pretesa all'inserimento e alla collocazione in graduatoria, pretesa che ha ad oggetto soltanto la conformità a legge degli atti di gestione nella graduatoria utile per l'eventuale assunzione.
Si è in presenza di atti, i quali, esulando da quelli compresi nelle procedure concorsuali per l'assunzione, nè potendo essere ascritti ad altre categorie di attività autoritativa (identificate dal d.lgs. n.165 del 2001, art. 2, comma 1), non possono che restare compresi tra le determinazioni assunte con la capacità e i poteri del datore del lavoro privato (d.lgs. n.165 del 2001, art. 5, comma 2), di fronte ai quali sono configurabili soltanto diritti soggettivi, con la tutela di cui all'art. 2907 c.c.."

sabato 27 agosto 2011

PARTE VIII - ART. 8 DEL DL 138/2011 - CONTRATTI DI PROSSIMITA' - L'INTERVENTO DEL PROF. ICHINO SULLE PROSPETTIVE GIUDIZIARIE

Come vedete modifico leggermente l'intestazione del post/sequel concentrandolo sul tema centrale dei contratti di prossimità.

Il prof. Ichino, in una lettera al Corriere della Sera pubblicata il 26 agosto 2011, non si limita ad esporre la Sua opinione in ordine alla riforma introdotta dall'art. 8 del DL (posizione peraltro istituzionalmente espressa in Commissione lavoro al Senato), ma, calandosi nelle vesti, che gli sono peraltro proprie, del Legale di un lavoratore, ipotizza gli scenari processuali possibili.
L'ipotesi, più precisamente, è quella che di un lavoratore licenziato da un'azienda che abbia stipulato con le Rappresentanze sindacali un accordo "di prossimità" che esclude l'applicazione dell'art. 18 SDL.
Il Prof. Avv. Ichino prefigura:
1) la proposizione di un'eccezione di incostituzionalità della norma di cui discutiamo (o di quella che risulterà dalla conversione in legge del decreto), in quanto “come può il rappresentante di un sindacato cui non sono iscritto privarmi della protezione prevista da una legge dello Stato, oltretutto senza una adeguata compensazione?”;
2) Impugnazione incidentale dell'accordo dal quale promana la disapplicabilità dell'art. 18 sotto il profilo della validità della designazione del rappresentante sindacale che ha stipulato l’accordo;
3) Impugnazione incidentale dell'accordo sotto il diverso profilo della rappresentatività effettiva del detto sindacalista;
4) Annullamento dell'accordo ex art. 17 SdL: necessaria natura di sindacato di comodo di un sindacato che sottoscrive un accordo che azzeri le garanzie di tutela dei lavoratori.
Ovviamente occorrerà fare i conti, soprattutto per quanto riguarda il 2° e 3° punto con le modifiche che quasi certamente si avranno in sede di conversione.
Ma il messaggio che lancia il Prof. Ichino, più che in un incitamento alla "guerriglia forense" (incitamento che potrebbe ricavarsi dal richiamo alla "balcanizzazione" del processo del lavoro prefigurata dal Senatore Treu in Commissione lavoro al Senato), è teso a prevedere la confusione, o meglio, l'assoluto e disorientato sconcerto che una norma del genere determinerebbe negli operatori del diritto.
Personalmente ritengo che se il Parlamento apporterà modifiche atte a chiarire la portata derogatoria dei contratti, con parole chiare e precise, oltre a stabilire con precisione il profilo della rappresentatività sindacale (anche con rimando ad altre norme), la norma, pur se sicuramente rivoluzionaria, potrà applicarsi in maniera apprezzabilmente certa.

giovedì 25 agosto 2011

MANOVRA CORRETTIVA AGOSTO 2011 - PARTE VII - LO STATO DELL'ARTE

Tirando le fila allo stato dell'arte, e in attesa della discussione in aula che segnerà, ovviamente, un momento importante di svolta, possiamo sintetizzare nel modo che segue la situazione dell'art. 8 del DL 138/2011 sul quale sto concentrando la mia attenzione.

1) in primo luogo ribadisco perchè questa norma, a parer mio e di tanti altri osservatori, è molto importante: lo è perchè di fatto incide non solo sul sistema della relazioni industriali, dando concreto risalto ai contratti aziendali (o di prossimità, come vengono definiti nel Decreto), ma soprattutto perchè esso stravolge del tutto l'impianto legislativo comunemente applicato. A rischio di esprimermi in maniera grossolana sintetizzo ancor meglio il punto. Da decenni (possiamo dire "da sempre") il nostro sistema è fondato su di una rigida predeterminazione legislativa degli istituti che disciplinano i rapporti di lavoro. Le norme di legge, internazionali, comunitarie e nazionali, costituiscono un baluardo invalicabile da parte della contrattazione collettiva nazionale. Addirittura era impensabile che un contratto aziendale potesse derogare non solo a norme di legge, ma finanche ai CCNL. Il nuovo intervento mina alla radice questo rigido schema. Non sovverte l'ordine delle fonti (ci mancherebbe!), ma di fatto costituisce una sorta di autorizzazione quasi in bianco alla contrattazione "decentrata" su temi fondamentali, addirittura in deroga a norme di legge nazionale e con il solo limite (ovviamente) delle norme sovranazionali. Per concludere sull'importanza del citato art. 8 basterà osservare che tutto il mondo sindacale è in agitazione e che è stato proclamato uno sciopero nazionale per tale motivo. E' una prospettiva di riforma epocale ma che avrebbe richiesto forse momenti diversi, un diverso dibattito, maggiore coraggio e, in tal caso, anche maggiore orgoglio in chi la propone. Tuttavia ripeto a me stesso che le novità, soprattutto quelle rilevanti, lasciano sempre perplessi e richiedono tempo per una loro metabolizzazione. Aggiungo che una sferzata al sistema era necessaria e che il clima delle relazioni sindacali era giunto ad un livello di maturazione più che accettabile. L'intervento va visto nell'ambito di eventi quali la vicenda Fiat (che ha dato una grossa sferzata al sistema), il nuovo accordo interconfederale di giugno, la discussione sulla riforma dello Statuto e, ovviamente, nell'ambito della crisi economica in corso.

2) il secondo punto da affrontare attiene alla portata derogatoria dell'art. 8, punto nodale di tutta la discussione.
Era ed è chiaro a tutti che l'intento del Governo è quello di consentire ai contratti decentrati di derogare anche a norme di legge e, ovviamente, ai CCNL. Ho già chiarito, fin dai primi post, che se questa è la chiara intenzione, essa è stata espressa con lettere incerte, vaghe e contradditorie. E' ovvio, infatti, che occorreva ed occorre scrivere in maniera chiara che gli accordi di prossimità avranno tale portata derogatoria. Ciò non si legge nel testo approvato dal CDM e, pertanto, allo stato (ritengo) alcuna portata derogatoria è data leggere, con conseguente sostanziale svuotamento della portata della norma stessa.
Come prevedevo la maggioranza sta correndo ai ripari (anche se qualcuno sostiene che era tutto già previsto e che dipenda da mancanza di coraggio e di chiarezza), così che la Commissione Lavoro del Senato ha approvato una proposta di modifica del testo che espliciti chiaramente ciò che solo a parole era chiaro a tutti.
Personalmente ritengo che anche la modifica prospettata non sia sufficiente e che si aprino seri scenari di incostituzionalità, ma molto dipenderà dal complessivo equilibrio politico che si raggiungerà.
Occorre però tenere conto che la norma non incide direttamente sui famosi "saldi di bilancio", ma avrebbe una funzione di incentivare lo sviluppo del paese, per cui è evidente che un suo stralcio non avrebbe (in teoria) conseguenze sotto il versante finanziario: tuttavia è ovvio che il pacchetto proposto è "politicamente unitario".

3) La prospettiva più certa è quindi quella di accordi aziendali con ampissima portata derogatoria finanche dell'art. 18 Sdl. I sindacati e l'opposizione, pertanto, cercano a questo punto di puntare ad un obiettivo minimo: definire i soggetti abilitati a stipulare gli accordi, evitando il proliferare di accordi con sindacati di comodo soprattutto in realtà territoriali inclini ai compromessi e in realtà aziendali piccole. Si ritorna quindi al nodale punto della rappresentatività sindacale ed alla oligarchia della grosse OOSS. Ciò dimostra anche che la norma andava meglio affrontata con il già previsto sistema delle delega legislativa, costituendo di fatto uno stralcio dello Statuto dei lavori che Sacconi aveva (ed ha) in mente.
L'ex Ministro Treu, in Commissione Lavoro del Senato, ha parlato di rischio di "balcanizzazione" del sistema. Il Presidente della medesima Commissione, invece, in un intervento sul Corriere del Mezzogiorno di ieri 24 agosto, esaltava le grosse prospettive che per il Meridione si aprirebbero a seguito della nascita dei nuovi accordi aziendali. Personalmente concordo con la direttrice assunta, ma ritengo, come peraltro sostiene autorevolmente il Prof. Ichino, che una tale scelta politica (perchè di questo si tratta), va calata in su più ampio sistema anche di protezione dei lavoratori, diversamente non dico che si va incontro alla tragedia, ci mancherebbe, ma si aprono forti incognite per i soggetti "contrattualmente deboli".

mercoledì 24 agosto 2011

MANOVRA CORRETTIVA AGOSTO 2011 - PARTE VI - L'ESAME DELLA COMMISSIONE LAVORO DEL SENATO - SCHEMA DI PARERE PROPOSTO DAI SENATORI TREU, ROILO, BLAZINA, GHEDINI, ICHINO, NEROZZI E PASSONI SUL DISEGNO DI LEGGE N. 2887

Interessante anche l'esame della posizione espressa in Commissione della minoranza politica, tenuto conto soprattutto dell'autorevolezza degli esponenti.

"La 11a Commissione permanente del Senato,

esaminato, per le parti di competenza, il disegno di legge n. 2887, relativo alla conversione in legge del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e lo sviluppo;

premesso che:

la manovra correttiva in esame, di importo pari a 3,1 milioni di euro per l'anno 2011, a 18.335,4 milioni di euro per l’anno 2012, a 25.460 milioni di euro per il 2013 e a 7.433 milioni di euro per l’anno 2014, è stata adottata dal Governo al fine di anticipare al 2013, come richiesto in sede europea, il pareggio del bilancio;

il provvedimento in esame, pertanto, integra e corregge le disposizioni del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, a sua volta di importo pari a 2.108,3 milioni di euro per l'anno 2011, di 5.577,5 milioni di euro per l'anno 2012, di 24.405,7 milioni di euro per l'anno 2013 e di 47.972,6 milioni di euro per l'anno 2014;

nel complesso, l'impatto delle due manovre correttive è pari a 2.139,8 milioni di euro per l'anno 2011, a 23.932,9 milioni di euro per l'anno 2012, a 49.865,7 milioni di euro per l'anno 2013 e a 55.405,6 milioni di euro per l'anno 2014;

considerato che:

tali manovre sono state adottate dal Governo italiano, sulla base di specifiche sollecitazioni e raccomandazioni pervenute dalle istituzioni dell'UE e dai principali Governi degli Stati membri dell'UE, allo scopo di ridurre da subito il deficit pubblico e giungere al pareggio di bilancio entro il 2013, e non più entro il 2014, anche in ragione del recente andamento dei mercati finanziari e della crescita esponenziale dello spread dei titoli pubblici italiani in rapporto ai titoli tedeschi;

l’intervento del Governo risulta sostanzialmente indotto da pressioni esterne e non porta traccia di alcuna rivisitazione critica circa le politiche condotte negli ultimi tre anni; conseguentemente sono totalmente assenti reali correzioni ad un impostazione che, nella contingenza della crisi, ne ha di fatto ampliato la portata, in conseguenza della scelta reiterata di non intervenire sui nodi strutturali di funzionamento della macchina statale e sulle principali criticità della nostra economia, in ossequio alla logica più volte riaffermata del "non si cambia nella crisi";

nel complesso, pur considerando vincolo necessario ed imprescindibile, il raggiungimento degli obiettivi del pareggio di bilancio, le scelte adottate dal Governo risultano ancora una volta (da ultimo nel giro di poche settimane) sostanzialmente inadeguate, non rispondono alle reali esigenze del Paese e alle specifiche indicazioni e raccomandazioni espresse dall'UE in tema di stabilità e sviluppo; esse prefigurano un andamento recessivo per la nostra economia e soprattutto sono del tutto inique sul piano sociale, mantenendo in questa scelta una coerenza negativa con il Decreto 98 dello scorso luglio, rispetto al quale si limitano in sostanza ad operare, per le parti di maggiore consistenza economica meri anticipi dell’introduzione delle misure previste dalla precedente manovra e dei loro effetti, che conseguentemente risultano sommatori;

rispetto a quanto descritto e prospettato nel DEF 2011, la manovra complessiva per gli anni 2011-2014 non contiene alcuna significativa misura per lo sviluppo e la crescita. Nessuno degli interventi contenuti nel PNR e nessuna delle osservazioni correttive formulate dalla Commissione Europea lo scorso 12 giugno 2011, ha trovato traduzione operativa nella manovra correttiva, lasciando così il nostro sistema economico e produttivo senza un orizzonte di sviluppo; inoltre, poiché si è scelto di non correggere il profilo delle stime relative alle grandezze macroeconomiche contenute nel DEF 2011, gli effetti sommatori delle due manovre producono un risultato netto che, nelle previsioni, andrebbe significativamente oltre gli obiettivi di pareggio dichiarati, con ciò aprendo un grave dubbio da un lato sulla veridicità e sulla tenuta di quelle stime, dall’altro sulla reale natura dei provvedimenti che il Governo si propone di adottare nei prossimi mesi;

assunto che la manovra poggia, sostanzialmente su tre pilastri finanziari: i tagli alla spesa dei Ministeri in assenza di modifiche ai tempi di introduzione e di definizione degli indirizzi del metodo della spending rewiew; i tagli dei trasferimenti alle Regioni e agli Enti Locali per conseguenza dell’inasprimento dei vincoli, già insopportabili e pesantemente squilibrati verso i territori, del Patto di stabilità interno; gli interventi di natura fiscale e assistenziale rinviati all’attuazione della Delega di riforma, le considerazioni che, allo stato, è possibile fare portano a ritenere che il contenuto reale degli interventi di riduzione del debito sia costituito dall’attuazione delle clausole di salvaguardia, poste inesorabilmente in atto al puntuale verificarsi, come già nel periodo trascorso, dell’inefficacia o dell'inagibilità degli interventi prospettati;

le clausole di salvaguardia, che appaiono a tutti gli effetti costituire il profilo reale del provvedimento, ne qualificano se possibile con ancora maggiore evidenza il profilo regressivo, andando a gravare sugli strati della popolazione che già pesantemente scontano gli effetti negativi della crisi economica, i lavoratori dipendenti, le famiglie numerose, più esposte al rischio di povertà, le donne escluse dal mercato del lavoro o gravate dal doppio lavoro, professionale e di cura, le persone non autosufficienti ed i giovani che al lavoro non riescono ad accedere.

In particolare, con riguardo ai profili di competenza di questa Commissione, che sarà chiamata a breve a discutere i contenuti della riforma dell’assistenza, destano preoccupazione non solo alcuni principi contenuti nel testo della Delega, che paiono ancora una volta ispirati all’assistenzialismo caritatevole, anziché ad un welfare delle opportunità, affermato nei testi di indirizzo (Libro Bianco) e negato nell’azione concreta di governo, ad una sussidiarietà posta prevalentemente in capo alle famiglie, cioè alle donne, data la dinamica dei ruoli sociali e familiari del nostro Paese, che questo Governo sta esasperando in luogo di promuoverne un cambiamento di profilo europeo, ma preoccupano soprattutto gli obiettivi di risparmio affidati alla delega medesima.

I complessivi 40 miliardi di euro che dovrebbero essere recuperati in tre anni, a partire dal prossimo, attraverso la riforma fiscale ed assistenziale appaiono un obiettivo del tutto irrealistico ed incoerente con la volontà dichiarata di garantire la tutela delle fasce di protezione sociale ed evitare un ulteriore innalzamento della pressione fiscale. Infatti, l’entità e le caratteristiche della spesa sociale, i gettiti ottenibili da un intervento di riordino o delineeranno una sostanziale azzeramento dell’intervento pubblico sui bisogni sociali o, inevitabilmente, faranno scattare la clausola di salvaguardia, intervenendo pesantemente sui regimi fiscali agevolativi, cioè gravando di maggiori imposte le persone fisiche, in massima parte i lavoratori dipendenti, e i consumi diffusi, ed anche le imprese che non riescono a recuperare un profilo di ripresa, producendo un’esasperazione ulteriore dell’effetto regressivo e depressivo della manovra.

Infatti, l'anticipo al 2012 dell’effetto di 4.000 milioni di euro (precedentemente previsto per il 2013) e la rimodulazione dell’effetto per il 2013 (il maggior gettito previsto passa da 4.000 a 16.000 milioni di euro) riposa un plafond di spesa sociale di competenza statale che ammonta a circa 30.000 milioni di euro, di cui 16 di prestazioni agli invalidi civili, 9 tra assegni familiari e prestazioni per maternità e i residui 5 diviso tra assegni sociali ed integrazioni al minimo delle pensioni. Considerando non realistico che gli interventi doverosi sulle "false invalidità" portino a riduzioni della spesa dell'ordine delle due cifre e considerato, più complessivamente, che si possano ottenere da una riforma dei criteri di accesso alle prestazioni che si ispiri comunque ad un criterio minimo di equità sociale non più di alcuni miliardi di euro , è pressoché scontato prevedere o l'attivazione della clausola di salvaguardia, attraverso il doppio taglio lineare dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale aventi come destinatari prevalenti i redditi da lavoro e da pensione o l'aumento di Iva ed accise, che graverebbero su larghe fasce di consumatori, a compensazione dei mancati effetti degli interventi assistenziali, o entrambe le cose.

Esiste una terza ipotesi, non contemplata dai testi, ma vivacemente presente nel dibattito politico, che attiene l’eventualità che le compensazioni siano ricercate attraverso un ulteriore intervento sulla cassa previdenziale, le pensioni. Su questo, alle considerazioni già svolte in molte sedi e, da ultimo, in occasione della precedente manovra, ci limitiamo a sottolineare l’insostenibilità e l’ingiustizia di ogni intervento previdenziale che abbia meri obiettivi compensativi di riduzione di una spesa pubblica non aggredita nei suoi elementi di inefficienza sostanziale, e che non consideri come prioritarie le variabili dell’adeguatezza dei trattamenti pensionistici e della sostenibilità nel tempo, secondo un criterio di pari opportunità tra i generi e le generazioni e non di mera supplenza;

tali considerazioni valgono specificatamente con riferimento all'anticipo al 2016, previsto dal decreto, del processo di elevamento del requisito anagrafico delle lavoratrici del settore privato per la pensione di vecchiaia, fissato dalla manovra di luglio al 2020;

questo intervento, sommato all'elevamento del requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia per le lavoratrici del pubblico impiego, all’anticipo dell’aggancio automatico all’aspettativa di vita, agli interventi di allungamento delle scansioni delle c.d. "finestre", propone uno schema di accesso alla quiescenza per le donne profondamente iniquo se si considera la discriminazione di fatto di cui sono oggetto le donne nel nostro Paese, che non vengono in alcun modo corrette, in termini di accesso al lavoro, retribuzioni e consistenza dei trattamenti previdenziali, accesso ai servizi sociali; tali considerazioni negative sono rafforzate dal fatto che, nuovamente, i risparmi ottenuti vanno a vantaggio della sostenibilità dei conti pubblici, anziché a sostegno dell'introduzione di misure di conciliazione e di discriminazione positiva in favore delle donne, condizione a fronte della quale anche il nostro gruppo ha più volte manifestato adesione ad un processo che colleghi, come anche l'Europa ci chiede, equilibrio previdenziale e sviluppo riducendo, per quella via, l'indebitamento;

considerato inoltre che, con riferimento ai contenuti del decreto in materia di regolazione dei rapporti di lavoro:

l'articolo 8 intitolato "sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità" risulta del tutto estraneo agli obiettivi dichiarati del Decreto, non intervenendo sui saldi di bilancio, non se ne ravvede pertanto il carattere di necessità ed urgenza ed essendo assai dubbia la sua capacità di stimolare la crescita, poichè opera nei fatti un potenziale detrimento alle condizioni di trattamento del lavoro e configura scenari di distorsione della concorrenza e di dumping competitivo;

esso rappresenta una inaccettabile intromissione nell’autonomia delle parti sociali, poiché nega alla radice la lettera e lo spirito dell’accordo unitario del 28 giugno scorso;

la qualificazione delle rappresentanze sindacali prescinde infatti completamente dai criteri di qualificazione delle parti abilitate a sottoscrivere accordi pattizi stabiliti con l'accordo: vengono indicate le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e le rappresentanze sindacali operanti in azienda. La prima formula è quelle usata tradizionalmente dal legislatore, la seconda è del tutto inedita, riferendosi ad un soggetto mai qualificato in nessuna norma o accordo fino ad ora e del quale neppure il Decreto definisce la natura. Entrambe indicano comunque soggetti sindacali diversi da quelli individuati come rappresentativi dall' interconfederale del 28 giugno 2011, che fissa una soglia di rappresentatività certificata e che a livello aziendale richiede che i contratti siano stipulati dalle RSU o dalle RSA rappresentative della maggioranza dei lavoratori;

andando ben oltre l'indicazione della rubrica, la norma investe in generale il ruolo del contratto collettivo di lavoro, conferendo potere illimitato di cambiare la gran parte delle norme del diritto del lavoro;

contrariamente ai migliori esempi di legislazione di sostegno, in primis lo Statuto dei lavoratori (L. 300/70), che questa norma nei fatti destruttura sostanzialmente, ed anche con l'orientamento ripetutamente espresso dal Ministro competente, il decreto non rispetta minimamente gli orientamenti delle parti, alle quali attribuisce poteri normativi e derogatori pressoché illimitati, in luogo di definire i confini della loro azione e i livelli di salvaguardia garantiti dalla Legge medesima;

le conseguenze di tali scelte sono gravi in primis per la serietà della rappresentanza. I contratti decentrati potrebbero essere conclusi da qualunque tipo di rappresentanza aziendale, anche minoritaria e non legata a sindacati nazionali rappresentativi. Oppure da qualunque sindacato nazionale, anche da solo e senza verifica del suo mandato.

Tutto ciò è tanto più grave in quanto il decreto conferisce a tali contratti efficacia generale; espressamente il comma 3 dell’art. 8 contiene una sanatoria retroattiva degli accordi conclusi prima del 28 giugno 2011 : una norma costruita ad hoc per salvare gli accordi FIAT, sui quali pendono giudizi, nella quale, perlomeno si stabilisce che gli accordi siano stati approvati con votazione a maggioranza dai lavoratori. Diversamente, la condizione della consultazione e dell'approvazione dalla maggioranza dei lavoratori non è stabilita per gli accordi futuri, ciò è fonte di iniquità sostanziale oltre che incoerente.

L'efficacia generale riguarda anche le intese del comma primo, a cui il legislatore attribuisce il potere di regolare materie ora regolate per legge, quindi di cambiare la legge. Si tratta per la gran parte di regole fondamentali del rapporto di lavoro e dei rapporti economici: impianti audiovisivi, mansioni e inquadramento del personale, contratti a termine e a orario ridotto, regime di solidarietà negli appalti e nella somministrazione di lavoro, orario di lavoro, modalità di assunzione e di disciplina del rapporto, comprese le collaborazioni e le partite Iva , trasformazione e conversione dei contratti di lavoro, e conseguenze del recesso dal rapporto, da cui sono esclusi soltanto il licenziamento discriminatorio e quello della lavoratrice per causa di matrimonio, ma non, con grave e ingiustificata omissione, quello della lavoratrice in stato di gravidanza;

la delega a parti negoziali non qualificate non prevede limiti nè criteri direttivi, pur riguardando norme e diritti fondamentali dell’ordinamento, come quelli dello Statuto dei lavoratori o afferenti alla legislazione comunitaria (es.: orario di lavoro). Un tale potere derogatorio è tanto più grave e inaccettabile in quanto può essere esercitato anche a livello di singola azienda da soggetti sindacali non rappresentativi, potendo in tal modo introdursi nel sistema cambiamenti fondamentali da soggetti irresponsabili e in modo diverso azienda per azienda: una balcanizzazione del diritto del lavoro ingiusta e pericolosa per i lavoratori e dannosa anche per le aziende;

una simile delegificazione presenta dubbi di legittimità, in tutti i casi in cui riguardi norme di ascendenza costituzionale o di derivazione comunitaria: orario, riposi, termine, eguaglianza ecc., essa, inoltre, rischia di rendere vane le stesse norme contenute nella restante parte del Titolo III del decreto, afferenti a materie che risultano tra quelle delegabili alla contrattazione aziendale e, pertanto, derogabili rispetto all'ordinamento di tempo in tempo vigente. E' pertanto doveroso un invito a condurre una seria valutazione circa le conseguenze che ciò potrebbe produrre sul rispetto di beni costituzionalmente protetti e/o comunque afferenti alla civiltà del lavoro e alla coesione sociale;

con riferimento agli ulteriori articoli del Titolo III:

l'affidamento ad una semplice comunicazione delle compensazioni fra unità produttive o aziende di uno stesso gruppo degli obblighi relativi al collocamento dei disabili deve essere riguardato sotto l'aspetto dell'effettività del diritto al lavoro di questi ultimi e dell'agibilità e dell'offerta di lavoro;

l'utilizzo dei fondi interprofessionali per la formazione continua per le misure di formazione in favore di apprendisti e collaboratori a progetto dovrebbe essere collegato a chiari indicatori di qualità della formazione e ad indici accertati di occupabilità, essendo tali risorse di fonte assicurativa destinate al contrasto della disoccupazione;

l'auspicata introduzione di livelli di tutela essenziali per i tirocini dovrebbe riguardare anche i percorsi intracurricolari, inspiegabilmente non compresi, e assicurare per quelli successivi al diploma e/o alla laurea un riconoscimento economico commisurato alle spese sostenute e all'entità e natura della prestazione messa in campo dal tirocinante, tutto ciò al fine di evitare il perpetrarsi di forme occulte di sfruttamento del lavoro;

da ultimo, pur rinviando per il merito alla competenza specifica della Commissione giustizia, si osserva come l'auspicata introduzione della norma di contrasto al fenomeno del grave sfruttamento del lavoro (caporalato) e all'introduzione della fattispecie di reato, peraltro a nostro avviso ingiustamente limitata alle attività di sfruttamento organizzate, rischia di essere limitata nella sua efficacia, proprio dall'effetto combinato delle previsioni dell'articolo 8, in cui vengono deregolamentate proprio le materie che costituiscono, per previsione del Decreto stesso, indice di sfruttamento;

considerato infine, con riferimento ai contenuti previdenziali del Decreto, che:

il comma 7 dell'articolo 1 prevede che, nel caso in cui non siano assicurati gli obiettivi di risparmio derivanti da riduzioni di spesa nei Ministeri, il pagamento della tredicesima mensilità dovuta ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 1651, possa essere differito, senza interessi, in tre rate annuali posticipate;

si tratta di una norma iniqua ed incomprensibile definita in modo quasi beffardo "clausola di salvaguardia": poiché infatti appare di difficilissima realizzazione il mancato raggiungimento degli obiettivi di risparmio derivanti da riduzioni di spesa nei Ministeri, quantificati in ben 7,4 miliardi di euro a decorrere dall'anno 2014, è praticamente certo il differimento del pagamento della tredicesima;

si noti, inoltre, che le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, l'intervento riguarderà pertanto una platea di lavoratori amplissima;

allo stesso modo, la norma relativa al differimento della corresponsione dei trattamenti di fine servizio dei dipendenti pubblici oltre ad apparire ingiustamente punitiva non porta efficienza, ma soltanto un temporaneo effetto di cassa;

tutto ciò premesso,

esprime parere contrario.