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martedì 30 agosto 2011

PARTE IX - ART. 8 DEL DL 138/2011 - CONTRATTI DI PROSSIMITA' - IL COMUNICATO DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Riporto il testo del comunicato diramato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri in ordine alla manovra correttiva.
Come si legge, il testo fa espressa menzione delle sole "principali modifiche" che verranno apportate dalla maggioranza. In tali modifiche non vi è alcuna menzione dell'art. 8 e dei contratti di prossimità.
V'è da ritenere che una abrogazione o modifica sostanziale dell'art. 8 sarebbe stata espressamente ed immediatamente indicata, anche per motivi di opportunità.
E' dato quindi desumere che il testo che verrà presentato in aula prevederà le sole modifiche previste in Commissione, delle quale ho già dato conto.

Segue il testo integrale del comunicato.

La riunione di maggioranza presieduta dal Presidente Silvio Berlusconi si è conclusa con le seguenti unanimi determinazioni:

1) Interventi di natura costituzionale:

- dimezzamento del numero dei parlamentari;

- soppressione delle province quali enti statali e conferimento alle regioni delle relative competenze ordinamentali;

2) Il decreto dovrà essere approvato nei tempi previsti e a saldi invariati con le seguenti principali modifiche:

- sostituzione dell’articolo della manovra relativo ai piccoli comuni con un nuovo testo che preveda l’obbligo dello svolgimento in forma di unione di tutte le funzioni fondamentali a partire dall’anno 2013 nonché il mantenimento dei consigli comunali con riduzione dei loro componenti senza indennità o gettone alcuno per i loro membri;

- riduzione dell’impatto della manovra per comuni, province, regioni e regioni a statuto speciale. Attribuzione agli enti territoriali di maggiori poteri e responsabilità nel contrasto all’evasione fiscale con vincolo di destinazione agli stessi del ricavato delle conseguenti maggiori entrate;

- sostituzione del contributo di solidarietà con nuove misure fiscali finalizzate a eliminare l’abuso di intestazioni e interposizioni patrimoniali elusive nonché riduzione delle misure di vantaggio fiscale alle società cooperative;

- contributo di solidarietà a carico dei membri del parlamento;

- mantenimento dell’attuale regime previdenziale già previsto per coloro che abbiano maturato quarant’anni di contributi con esclusione dei periodi relativi al percorso di laurea e al servizio militare che rimangono comunque utili ai fini del calcolo della pensione;

Il governo e il relatore presenteranno le relative proposte emendative, aperti al confronto con l’opposizione nelle sedi parlamentari.



LICENZIAMENTO E OBBLIGO DI SPECIFICAZIONE DEI MOTIVI

Segnalo Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza 5.5.2011 n. 9925, massimata come segue:

Nel caso in cui il lavoratore licenziato chieda al datore di lavoro la comunicazione dei motivi del recesso, la motivazione del licenziamento deve essere sufficientemente specifica e completa, ossia tale da consentire al lavoratore di individuare con chiarezza e precisione la causa del suo licenziamento sì da poter esercitare un'adeguata difesa svolgendo e offrendo idonee osservazioni o giustificazioni, dovendosi ritenere equivalente alla materiale omissione della comunicazione dei motivi la comunicazione che, per la sua assoluta genericità, sia totalmente inidonea ad assolvere il fine cui la norma tende.

Ma è interessante osservare che nella fattispecie esaminata dalla Corte il datore di lavoro, che aveva proceduto ad un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, aveva risposto alla richiesta di motivazioni dal lavoratore precisando l'avvenuta soppressione del posto di lavoro al quale egli era adibito.
La Corte ritiene che il datore di lavoro debba anche assumere precisa posizione in ordine all'impossibilità di diverso utilizzo, oltre a motivare in maniera più pregnante l'avvenuta soppressione del posto di lavoro.

Date le conseguenze che derivano dalla sostanziale omissione dell'obbligo di specificazione dei motivi a seguito della richiesta del lavoratore, è evidente che il datore di lavoro si trova a dover analiticamente giustificare il proprio operato.

lunedì 29 agosto 2011

GRADUATORIE CONCORSUALI INSEGNANTI: COMPETONO AL GIUDICE DEL LAVORO E NON AL TAR

Il Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria con sentenza 12 luglio 2011, n. 11, ribaltando un suo precedente orientamento, ha affermato che "nel caso della giusta posizione o collocazione nella graduatoria permanente ( o ad esaurimento) degli insegnanti, gli atti che vengono in considerazione sono ricompresi tra le determinazioni assunte con la capacità e i poteri del datore di lavoro privato di fronte ai quali sussistono solo diritti soggettivi".
Afferma il CDS:
Mentre in generale una graduatoria approvata in conclusione di una procedura concorsuale subisce un processo di “cristallizzazione”, essendo possibile la sua utilizzazione solo in caso di rinunce o per copertura di posti eventuali in pianta organica resisi disponibili successivamente alla indizione, nei rigorosi limiti di tempo imposti per legge alla vigenza della graduatoria, le graduatorie per l’accesso, in generale, nei ruoli della scuola, non si consolidano mai, dovendo le stesse, per previsione normativa espressa (artt.401, 553 e 554 del d.lgs. n.297 del 1994), essere periodicamente aggiornate e quindi essendo le stesse fisiologicamente “mutevoli”.
La contestazione, come nella specie, riguarda di solito la conformità alle norme dei provvedimenti che hanno determinato la collocazione di un insegnante nella graduatoria provinciale del personale docente.
Il sistema di cui al d.lgs. n.297 del 1994, come integrato e modificato dalle norme successive, contempla la trasformazione delle graduatorie relative ai singoli concorsi in graduatoria permanente (oggi ad esaurimento), realizzando una forma di coordinamento fra la permanente utilizzabilità, nel tempo, della lista dei possibili aspiranti e il diverso momento nel quale ciascun aspirante acquisisce il diritto alla futura, eventuale assunzione, con la previsione della periodica integrazione della graduatoria con l'inserimento dei vincitori dell'ultimo concorso e l'aggiornamento contestuale delle posizioni dei vincitori in epoca precedente, con salvezza delle posizioni di questi ultimi.
L’affermazione della residuale giurisdizione amministrativa sulle controversie inerenti a procedure concorsuali per l'assunzione, contemplata dal d.lgs. n.165 del 2001, art. 63, comma 4, deve essere limitata quindi a quelle procedure che iniziano con l'emanazione di un bando e sono caratterizzate dalla valutazione comparativa dei candidati e dalla compilazione finale di una graduatoria, la cui approvazione, individuando i "vincitori", rappresenta l'atto terminale del procedimento.
In tale nozione di concorso non è compresa la fattispecie dell'inserimento in apposita graduatoria di coloro che siano in possesso di determinati requisiti (anche derivanti dalla partecipazione a concorsi) e che è preordinata al conferimento dei posti lavoro che si renderanno disponibili. Infatti l'assenza di un bando, di una procedura di valutazione e, soprattutto, dell'atto di approvazione, colloca l'ipotesi fuori della fattispecie concorsuale e comporta che sia il giudice ordinario a tutelare la pretesa all'inserimento e alla collocazione in graduatoria, pretesa che ha ad oggetto soltanto la conformità a legge degli atti di gestione nella graduatoria utile per l'eventuale assunzione.
Si è in presenza di atti, i quali, esulando da quelli compresi nelle procedure concorsuali per l'assunzione, nè potendo essere ascritti ad altre categorie di attività autoritativa (identificate dal d.lgs. n.165 del 2001, art. 2, comma 1), non possono che restare compresi tra le determinazioni assunte con la capacità e i poteri del datore del lavoro privato (d.lgs. n.165 del 2001, art. 5, comma 2), di fronte ai quali sono configurabili soltanto diritti soggettivi, con la tutela di cui all'art. 2907 c.c.."

sabato 27 agosto 2011

PARTE VIII - ART. 8 DEL DL 138/2011 - CONTRATTI DI PROSSIMITA' - L'INTERVENTO DEL PROF. ICHINO SULLE PROSPETTIVE GIUDIZIARIE

Come vedete modifico leggermente l'intestazione del post/sequel concentrandolo sul tema centrale dei contratti di prossimità.

Il prof. Ichino, in una lettera al Corriere della Sera pubblicata il 26 agosto 2011, non si limita ad esporre la Sua opinione in ordine alla riforma introdotta dall'art. 8 del DL (posizione peraltro istituzionalmente espressa in Commissione lavoro al Senato), ma, calandosi nelle vesti, che gli sono peraltro proprie, del Legale di un lavoratore, ipotizza gli scenari processuali possibili.
L'ipotesi, più precisamente, è quella che di un lavoratore licenziato da un'azienda che abbia stipulato con le Rappresentanze sindacali un accordo "di prossimità" che esclude l'applicazione dell'art. 18 SDL.
Il Prof. Avv. Ichino prefigura:
1) la proposizione di un'eccezione di incostituzionalità della norma di cui discutiamo (o di quella che risulterà dalla conversione in legge del decreto), in quanto “come può il rappresentante di un sindacato cui non sono iscritto privarmi della protezione prevista da una legge dello Stato, oltretutto senza una adeguata compensazione?”;
2) Impugnazione incidentale dell'accordo dal quale promana la disapplicabilità dell'art. 18 sotto il profilo della validità della designazione del rappresentante sindacale che ha stipulato l’accordo;
3) Impugnazione incidentale dell'accordo sotto il diverso profilo della rappresentatività effettiva del detto sindacalista;
4) Annullamento dell'accordo ex art. 17 SdL: necessaria natura di sindacato di comodo di un sindacato che sottoscrive un accordo che azzeri le garanzie di tutela dei lavoratori.
Ovviamente occorrerà fare i conti, soprattutto per quanto riguarda il 2° e 3° punto con le modifiche che quasi certamente si avranno in sede di conversione.
Ma il messaggio che lancia il Prof. Ichino, più che in un incitamento alla "guerriglia forense" (incitamento che potrebbe ricavarsi dal richiamo alla "balcanizzazione" del processo del lavoro prefigurata dal Senatore Treu in Commissione lavoro al Senato), è teso a prevedere la confusione, o meglio, l'assoluto e disorientato sconcerto che una norma del genere determinerebbe negli operatori del diritto.
Personalmente ritengo che se il Parlamento apporterà modifiche atte a chiarire la portata derogatoria dei contratti, con parole chiare e precise, oltre a stabilire con precisione il profilo della rappresentatività sindacale (anche con rimando ad altre norme), la norma, pur se sicuramente rivoluzionaria, potrà applicarsi in maniera apprezzabilmente certa.

giovedì 25 agosto 2011

MANOVRA CORRETTIVA AGOSTO 2011 - PARTE VII - LO STATO DELL'ARTE

Tirando le fila allo stato dell'arte, e in attesa della discussione in aula che segnerà, ovviamente, un momento importante di svolta, possiamo sintetizzare nel modo che segue la situazione dell'art. 8 del DL 138/2011 sul quale sto concentrando la mia attenzione.

1) in primo luogo ribadisco perchè questa norma, a parer mio e di tanti altri osservatori, è molto importante: lo è perchè di fatto incide non solo sul sistema della relazioni industriali, dando concreto risalto ai contratti aziendali (o di prossimità, come vengono definiti nel Decreto), ma soprattutto perchè esso stravolge del tutto l'impianto legislativo comunemente applicato. A rischio di esprimermi in maniera grossolana sintetizzo ancor meglio il punto. Da decenni (possiamo dire "da sempre") il nostro sistema è fondato su di una rigida predeterminazione legislativa degli istituti che disciplinano i rapporti di lavoro. Le norme di legge, internazionali, comunitarie e nazionali, costituiscono un baluardo invalicabile da parte della contrattazione collettiva nazionale. Addirittura era impensabile che un contratto aziendale potesse derogare non solo a norme di legge, ma finanche ai CCNL. Il nuovo intervento mina alla radice questo rigido schema. Non sovverte l'ordine delle fonti (ci mancherebbe!), ma di fatto costituisce una sorta di autorizzazione quasi in bianco alla contrattazione "decentrata" su temi fondamentali, addirittura in deroga a norme di legge nazionale e con il solo limite (ovviamente) delle norme sovranazionali. Per concludere sull'importanza del citato art. 8 basterà osservare che tutto il mondo sindacale è in agitazione e che è stato proclamato uno sciopero nazionale per tale motivo. E' una prospettiva di riforma epocale ma che avrebbe richiesto forse momenti diversi, un diverso dibattito, maggiore coraggio e, in tal caso, anche maggiore orgoglio in chi la propone. Tuttavia ripeto a me stesso che le novità, soprattutto quelle rilevanti, lasciano sempre perplessi e richiedono tempo per una loro metabolizzazione. Aggiungo che una sferzata al sistema era necessaria e che il clima delle relazioni sindacali era giunto ad un livello di maturazione più che accettabile. L'intervento va visto nell'ambito di eventi quali la vicenda Fiat (che ha dato una grossa sferzata al sistema), il nuovo accordo interconfederale di giugno, la discussione sulla riforma dello Statuto e, ovviamente, nell'ambito della crisi economica in corso.

2) il secondo punto da affrontare attiene alla portata derogatoria dell'art. 8, punto nodale di tutta la discussione.
Era ed è chiaro a tutti che l'intento del Governo è quello di consentire ai contratti decentrati di derogare anche a norme di legge e, ovviamente, ai CCNL. Ho già chiarito, fin dai primi post, che se questa è la chiara intenzione, essa è stata espressa con lettere incerte, vaghe e contradditorie. E' ovvio, infatti, che occorreva ed occorre scrivere in maniera chiara che gli accordi di prossimità avranno tale portata derogatoria. Ciò non si legge nel testo approvato dal CDM e, pertanto, allo stato (ritengo) alcuna portata derogatoria è data leggere, con conseguente sostanziale svuotamento della portata della norma stessa.
Come prevedevo la maggioranza sta correndo ai ripari (anche se qualcuno sostiene che era tutto già previsto e che dipenda da mancanza di coraggio e di chiarezza), così che la Commissione Lavoro del Senato ha approvato una proposta di modifica del testo che espliciti chiaramente ciò che solo a parole era chiaro a tutti.
Personalmente ritengo che anche la modifica prospettata non sia sufficiente e che si aprino seri scenari di incostituzionalità, ma molto dipenderà dal complessivo equilibrio politico che si raggiungerà.
Occorre però tenere conto che la norma non incide direttamente sui famosi "saldi di bilancio", ma avrebbe una funzione di incentivare lo sviluppo del paese, per cui è evidente che un suo stralcio non avrebbe (in teoria) conseguenze sotto il versante finanziario: tuttavia è ovvio che il pacchetto proposto è "politicamente unitario".

3) La prospettiva più certa è quindi quella di accordi aziendali con ampissima portata derogatoria finanche dell'art. 18 Sdl. I sindacati e l'opposizione, pertanto, cercano a questo punto di puntare ad un obiettivo minimo: definire i soggetti abilitati a stipulare gli accordi, evitando il proliferare di accordi con sindacati di comodo soprattutto in realtà territoriali inclini ai compromessi e in realtà aziendali piccole. Si ritorna quindi al nodale punto della rappresentatività sindacale ed alla oligarchia della grosse OOSS. Ciò dimostra anche che la norma andava meglio affrontata con il già previsto sistema delle delega legislativa, costituendo di fatto uno stralcio dello Statuto dei lavori che Sacconi aveva (ed ha) in mente.
L'ex Ministro Treu, in Commissione Lavoro del Senato, ha parlato di rischio di "balcanizzazione" del sistema. Il Presidente della medesima Commissione, invece, in un intervento sul Corriere del Mezzogiorno di ieri 24 agosto, esaltava le grosse prospettive che per il Meridione si aprirebbero a seguito della nascita dei nuovi accordi aziendali. Personalmente concordo con la direttrice assunta, ma ritengo, come peraltro sostiene autorevolmente il Prof. Ichino, che una tale scelta politica (perchè di questo si tratta), va calata in su più ampio sistema anche di protezione dei lavoratori, diversamente non dico che si va incontro alla tragedia, ci mancherebbe, ma si aprono forti incognite per i soggetti "contrattualmente deboli".

mercoledì 24 agosto 2011

MANOVRA CORRETTIVA AGOSTO 2011 - PARTE VI - L'ESAME DELLA COMMISSIONE LAVORO DEL SENATO - SCHEMA DI PARERE PROPOSTO DAI SENATORI TREU, ROILO, BLAZINA, GHEDINI, ICHINO, NEROZZI E PASSONI SUL DISEGNO DI LEGGE N. 2887

Interessante anche l'esame della posizione espressa in Commissione della minoranza politica, tenuto conto soprattutto dell'autorevolezza degli esponenti.

"La 11a Commissione permanente del Senato,

esaminato, per le parti di competenza, il disegno di legge n. 2887, relativo alla conversione in legge del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e lo sviluppo;

premesso che:

la manovra correttiva in esame, di importo pari a 3,1 milioni di euro per l'anno 2011, a 18.335,4 milioni di euro per l’anno 2012, a 25.460 milioni di euro per il 2013 e a 7.433 milioni di euro per l’anno 2014, è stata adottata dal Governo al fine di anticipare al 2013, come richiesto in sede europea, il pareggio del bilancio;

il provvedimento in esame, pertanto, integra e corregge le disposizioni del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, a sua volta di importo pari a 2.108,3 milioni di euro per l'anno 2011, di 5.577,5 milioni di euro per l'anno 2012, di 24.405,7 milioni di euro per l'anno 2013 e di 47.972,6 milioni di euro per l'anno 2014;

nel complesso, l'impatto delle due manovre correttive è pari a 2.139,8 milioni di euro per l'anno 2011, a 23.932,9 milioni di euro per l'anno 2012, a 49.865,7 milioni di euro per l'anno 2013 e a 55.405,6 milioni di euro per l'anno 2014;

considerato che:

tali manovre sono state adottate dal Governo italiano, sulla base di specifiche sollecitazioni e raccomandazioni pervenute dalle istituzioni dell'UE e dai principali Governi degli Stati membri dell'UE, allo scopo di ridurre da subito il deficit pubblico e giungere al pareggio di bilancio entro il 2013, e non più entro il 2014, anche in ragione del recente andamento dei mercati finanziari e della crescita esponenziale dello spread dei titoli pubblici italiani in rapporto ai titoli tedeschi;

l’intervento del Governo risulta sostanzialmente indotto da pressioni esterne e non porta traccia di alcuna rivisitazione critica circa le politiche condotte negli ultimi tre anni; conseguentemente sono totalmente assenti reali correzioni ad un impostazione che, nella contingenza della crisi, ne ha di fatto ampliato la portata, in conseguenza della scelta reiterata di non intervenire sui nodi strutturali di funzionamento della macchina statale e sulle principali criticità della nostra economia, in ossequio alla logica più volte riaffermata del "non si cambia nella crisi";

nel complesso, pur considerando vincolo necessario ed imprescindibile, il raggiungimento degli obiettivi del pareggio di bilancio, le scelte adottate dal Governo risultano ancora una volta (da ultimo nel giro di poche settimane) sostanzialmente inadeguate, non rispondono alle reali esigenze del Paese e alle specifiche indicazioni e raccomandazioni espresse dall'UE in tema di stabilità e sviluppo; esse prefigurano un andamento recessivo per la nostra economia e soprattutto sono del tutto inique sul piano sociale, mantenendo in questa scelta una coerenza negativa con il Decreto 98 dello scorso luglio, rispetto al quale si limitano in sostanza ad operare, per le parti di maggiore consistenza economica meri anticipi dell’introduzione delle misure previste dalla precedente manovra e dei loro effetti, che conseguentemente risultano sommatori;

rispetto a quanto descritto e prospettato nel DEF 2011, la manovra complessiva per gli anni 2011-2014 non contiene alcuna significativa misura per lo sviluppo e la crescita. Nessuno degli interventi contenuti nel PNR e nessuna delle osservazioni correttive formulate dalla Commissione Europea lo scorso 12 giugno 2011, ha trovato traduzione operativa nella manovra correttiva, lasciando così il nostro sistema economico e produttivo senza un orizzonte di sviluppo; inoltre, poiché si è scelto di non correggere il profilo delle stime relative alle grandezze macroeconomiche contenute nel DEF 2011, gli effetti sommatori delle due manovre producono un risultato netto che, nelle previsioni, andrebbe significativamente oltre gli obiettivi di pareggio dichiarati, con ciò aprendo un grave dubbio da un lato sulla veridicità e sulla tenuta di quelle stime, dall’altro sulla reale natura dei provvedimenti che il Governo si propone di adottare nei prossimi mesi;

assunto che la manovra poggia, sostanzialmente su tre pilastri finanziari: i tagli alla spesa dei Ministeri in assenza di modifiche ai tempi di introduzione e di definizione degli indirizzi del metodo della spending rewiew; i tagli dei trasferimenti alle Regioni e agli Enti Locali per conseguenza dell’inasprimento dei vincoli, già insopportabili e pesantemente squilibrati verso i territori, del Patto di stabilità interno; gli interventi di natura fiscale e assistenziale rinviati all’attuazione della Delega di riforma, le considerazioni che, allo stato, è possibile fare portano a ritenere che il contenuto reale degli interventi di riduzione del debito sia costituito dall’attuazione delle clausole di salvaguardia, poste inesorabilmente in atto al puntuale verificarsi, come già nel periodo trascorso, dell’inefficacia o dell'inagibilità degli interventi prospettati;

le clausole di salvaguardia, che appaiono a tutti gli effetti costituire il profilo reale del provvedimento, ne qualificano se possibile con ancora maggiore evidenza il profilo regressivo, andando a gravare sugli strati della popolazione che già pesantemente scontano gli effetti negativi della crisi economica, i lavoratori dipendenti, le famiglie numerose, più esposte al rischio di povertà, le donne escluse dal mercato del lavoro o gravate dal doppio lavoro, professionale e di cura, le persone non autosufficienti ed i giovani che al lavoro non riescono ad accedere.

In particolare, con riguardo ai profili di competenza di questa Commissione, che sarà chiamata a breve a discutere i contenuti della riforma dell’assistenza, destano preoccupazione non solo alcuni principi contenuti nel testo della Delega, che paiono ancora una volta ispirati all’assistenzialismo caritatevole, anziché ad un welfare delle opportunità, affermato nei testi di indirizzo (Libro Bianco) e negato nell’azione concreta di governo, ad una sussidiarietà posta prevalentemente in capo alle famiglie, cioè alle donne, data la dinamica dei ruoli sociali e familiari del nostro Paese, che questo Governo sta esasperando in luogo di promuoverne un cambiamento di profilo europeo, ma preoccupano soprattutto gli obiettivi di risparmio affidati alla delega medesima.

I complessivi 40 miliardi di euro che dovrebbero essere recuperati in tre anni, a partire dal prossimo, attraverso la riforma fiscale ed assistenziale appaiono un obiettivo del tutto irrealistico ed incoerente con la volontà dichiarata di garantire la tutela delle fasce di protezione sociale ed evitare un ulteriore innalzamento della pressione fiscale. Infatti, l’entità e le caratteristiche della spesa sociale, i gettiti ottenibili da un intervento di riordino o delineeranno una sostanziale azzeramento dell’intervento pubblico sui bisogni sociali o, inevitabilmente, faranno scattare la clausola di salvaguardia, intervenendo pesantemente sui regimi fiscali agevolativi, cioè gravando di maggiori imposte le persone fisiche, in massima parte i lavoratori dipendenti, e i consumi diffusi, ed anche le imprese che non riescono a recuperare un profilo di ripresa, producendo un’esasperazione ulteriore dell’effetto regressivo e depressivo della manovra.

Infatti, l'anticipo al 2012 dell’effetto di 4.000 milioni di euro (precedentemente previsto per il 2013) e la rimodulazione dell’effetto per il 2013 (il maggior gettito previsto passa da 4.000 a 16.000 milioni di euro) riposa un plafond di spesa sociale di competenza statale che ammonta a circa 30.000 milioni di euro, di cui 16 di prestazioni agli invalidi civili, 9 tra assegni familiari e prestazioni per maternità e i residui 5 diviso tra assegni sociali ed integrazioni al minimo delle pensioni. Considerando non realistico che gli interventi doverosi sulle "false invalidità" portino a riduzioni della spesa dell'ordine delle due cifre e considerato, più complessivamente, che si possano ottenere da una riforma dei criteri di accesso alle prestazioni che si ispiri comunque ad un criterio minimo di equità sociale non più di alcuni miliardi di euro , è pressoché scontato prevedere o l'attivazione della clausola di salvaguardia, attraverso il doppio taglio lineare dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale aventi come destinatari prevalenti i redditi da lavoro e da pensione o l'aumento di Iva ed accise, che graverebbero su larghe fasce di consumatori, a compensazione dei mancati effetti degli interventi assistenziali, o entrambe le cose.

Esiste una terza ipotesi, non contemplata dai testi, ma vivacemente presente nel dibattito politico, che attiene l’eventualità che le compensazioni siano ricercate attraverso un ulteriore intervento sulla cassa previdenziale, le pensioni. Su questo, alle considerazioni già svolte in molte sedi e, da ultimo, in occasione della precedente manovra, ci limitiamo a sottolineare l’insostenibilità e l’ingiustizia di ogni intervento previdenziale che abbia meri obiettivi compensativi di riduzione di una spesa pubblica non aggredita nei suoi elementi di inefficienza sostanziale, e che non consideri come prioritarie le variabili dell’adeguatezza dei trattamenti pensionistici e della sostenibilità nel tempo, secondo un criterio di pari opportunità tra i generi e le generazioni e non di mera supplenza;

tali considerazioni valgono specificatamente con riferimento all'anticipo al 2016, previsto dal decreto, del processo di elevamento del requisito anagrafico delle lavoratrici del settore privato per la pensione di vecchiaia, fissato dalla manovra di luglio al 2020;

questo intervento, sommato all'elevamento del requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia per le lavoratrici del pubblico impiego, all’anticipo dell’aggancio automatico all’aspettativa di vita, agli interventi di allungamento delle scansioni delle c.d. "finestre", propone uno schema di accesso alla quiescenza per le donne profondamente iniquo se si considera la discriminazione di fatto di cui sono oggetto le donne nel nostro Paese, che non vengono in alcun modo corrette, in termini di accesso al lavoro, retribuzioni e consistenza dei trattamenti previdenziali, accesso ai servizi sociali; tali considerazioni negative sono rafforzate dal fatto che, nuovamente, i risparmi ottenuti vanno a vantaggio della sostenibilità dei conti pubblici, anziché a sostegno dell'introduzione di misure di conciliazione e di discriminazione positiva in favore delle donne, condizione a fronte della quale anche il nostro gruppo ha più volte manifestato adesione ad un processo che colleghi, come anche l'Europa ci chiede, equilibrio previdenziale e sviluppo riducendo, per quella via, l'indebitamento;

considerato inoltre che, con riferimento ai contenuti del decreto in materia di regolazione dei rapporti di lavoro:

l'articolo 8 intitolato "sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità" risulta del tutto estraneo agli obiettivi dichiarati del Decreto, non intervenendo sui saldi di bilancio, non se ne ravvede pertanto il carattere di necessità ed urgenza ed essendo assai dubbia la sua capacità di stimolare la crescita, poichè opera nei fatti un potenziale detrimento alle condizioni di trattamento del lavoro e configura scenari di distorsione della concorrenza e di dumping competitivo;

esso rappresenta una inaccettabile intromissione nell’autonomia delle parti sociali, poiché nega alla radice la lettera e lo spirito dell’accordo unitario del 28 giugno scorso;

la qualificazione delle rappresentanze sindacali prescinde infatti completamente dai criteri di qualificazione delle parti abilitate a sottoscrivere accordi pattizi stabiliti con l'accordo: vengono indicate le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e le rappresentanze sindacali operanti in azienda. La prima formula è quelle usata tradizionalmente dal legislatore, la seconda è del tutto inedita, riferendosi ad un soggetto mai qualificato in nessuna norma o accordo fino ad ora e del quale neppure il Decreto definisce la natura. Entrambe indicano comunque soggetti sindacali diversi da quelli individuati come rappresentativi dall' interconfederale del 28 giugno 2011, che fissa una soglia di rappresentatività certificata e che a livello aziendale richiede che i contratti siano stipulati dalle RSU o dalle RSA rappresentative della maggioranza dei lavoratori;

andando ben oltre l'indicazione della rubrica, la norma investe in generale il ruolo del contratto collettivo di lavoro, conferendo potere illimitato di cambiare la gran parte delle norme del diritto del lavoro;

contrariamente ai migliori esempi di legislazione di sostegno, in primis lo Statuto dei lavoratori (L. 300/70), che questa norma nei fatti destruttura sostanzialmente, ed anche con l'orientamento ripetutamente espresso dal Ministro competente, il decreto non rispetta minimamente gli orientamenti delle parti, alle quali attribuisce poteri normativi e derogatori pressoché illimitati, in luogo di definire i confini della loro azione e i livelli di salvaguardia garantiti dalla Legge medesima;

le conseguenze di tali scelte sono gravi in primis per la serietà della rappresentanza. I contratti decentrati potrebbero essere conclusi da qualunque tipo di rappresentanza aziendale, anche minoritaria e non legata a sindacati nazionali rappresentativi. Oppure da qualunque sindacato nazionale, anche da solo e senza verifica del suo mandato.

Tutto ciò è tanto più grave in quanto il decreto conferisce a tali contratti efficacia generale; espressamente il comma 3 dell’art. 8 contiene una sanatoria retroattiva degli accordi conclusi prima del 28 giugno 2011 : una norma costruita ad hoc per salvare gli accordi FIAT, sui quali pendono giudizi, nella quale, perlomeno si stabilisce che gli accordi siano stati approvati con votazione a maggioranza dai lavoratori. Diversamente, la condizione della consultazione e dell'approvazione dalla maggioranza dei lavoratori non è stabilita per gli accordi futuri, ciò è fonte di iniquità sostanziale oltre che incoerente.

L'efficacia generale riguarda anche le intese del comma primo, a cui il legislatore attribuisce il potere di regolare materie ora regolate per legge, quindi di cambiare la legge. Si tratta per la gran parte di regole fondamentali del rapporto di lavoro e dei rapporti economici: impianti audiovisivi, mansioni e inquadramento del personale, contratti a termine e a orario ridotto, regime di solidarietà negli appalti e nella somministrazione di lavoro, orario di lavoro, modalità di assunzione e di disciplina del rapporto, comprese le collaborazioni e le partite Iva , trasformazione e conversione dei contratti di lavoro, e conseguenze del recesso dal rapporto, da cui sono esclusi soltanto il licenziamento discriminatorio e quello della lavoratrice per causa di matrimonio, ma non, con grave e ingiustificata omissione, quello della lavoratrice in stato di gravidanza;

la delega a parti negoziali non qualificate non prevede limiti nè criteri direttivi, pur riguardando norme e diritti fondamentali dell’ordinamento, come quelli dello Statuto dei lavoratori o afferenti alla legislazione comunitaria (es.: orario di lavoro). Un tale potere derogatorio è tanto più grave e inaccettabile in quanto può essere esercitato anche a livello di singola azienda da soggetti sindacali non rappresentativi, potendo in tal modo introdursi nel sistema cambiamenti fondamentali da soggetti irresponsabili e in modo diverso azienda per azienda: una balcanizzazione del diritto del lavoro ingiusta e pericolosa per i lavoratori e dannosa anche per le aziende;

una simile delegificazione presenta dubbi di legittimità, in tutti i casi in cui riguardi norme di ascendenza costituzionale o di derivazione comunitaria: orario, riposi, termine, eguaglianza ecc., essa, inoltre, rischia di rendere vane le stesse norme contenute nella restante parte del Titolo III del decreto, afferenti a materie che risultano tra quelle delegabili alla contrattazione aziendale e, pertanto, derogabili rispetto all'ordinamento di tempo in tempo vigente. E' pertanto doveroso un invito a condurre una seria valutazione circa le conseguenze che ciò potrebbe produrre sul rispetto di beni costituzionalmente protetti e/o comunque afferenti alla civiltà del lavoro e alla coesione sociale;

con riferimento agli ulteriori articoli del Titolo III:

l'affidamento ad una semplice comunicazione delle compensazioni fra unità produttive o aziende di uno stesso gruppo degli obblighi relativi al collocamento dei disabili deve essere riguardato sotto l'aspetto dell'effettività del diritto al lavoro di questi ultimi e dell'agibilità e dell'offerta di lavoro;

l'utilizzo dei fondi interprofessionali per la formazione continua per le misure di formazione in favore di apprendisti e collaboratori a progetto dovrebbe essere collegato a chiari indicatori di qualità della formazione e ad indici accertati di occupabilità, essendo tali risorse di fonte assicurativa destinate al contrasto della disoccupazione;

l'auspicata introduzione di livelli di tutela essenziali per i tirocini dovrebbe riguardare anche i percorsi intracurricolari, inspiegabilmente non compresi, e assicurare per quelli successivi al diploma e/o alla laurea un riconoscimento economico commisurato alle spese sostenute e all'entità e natura della prestazione messa in campo dal tirocinante, tutto ciò al fine di evitare il perpetrarsi di forme occulte di sfruttamento del lavoro;

da ultimo, pur rinviando per il merito alla competenza specifica della Commissione giustizia, si osserva come l'auspicata introduzione della norma di contrasto al fenomeno del grave sfruttamento del lavoro (caporalato) e all'introduzione della fattispecie di reato, peraltro a nostro avviso ingiustamente limitata alle attività di sfruttamento organizzate, rischia di essere limitata nella sua efficacia, proprio dall'effetto combinato delle previsioni dell'articolo 8, in cui vengono deregolamentate proprio le materie che costituiscono, per previsione del Decreto stesso, indice di sfruttamento;

considerato infine, con riferimento ai contenuti previdenziali del Decreto, che:

il comma 7 dell'articolo 1 prevede che, nel caso in cui non siano assicurati gli obiettivi di risparmio derivanti da riduzioni di spesa nei Ministeri, il pagamento della tredicesima mensilità dovuta ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 1651, possa essere differito, senza interessi, in tre rate annuali posticipate;

si tratta di una norma iniqua ed incomprensibile definita in modo quasi beffardo "clausola di salvaguardia": poiché infatti appare di difficilissima realizzazione il mancato raggiungimento degli obiettivi di risparmio derivanti da riduzioni di spesa nei Ministeri, quantificati in ben 7,4 miliardi di euro a decorrere dall'anno 2014, è praticamente certo il differimento del pagamento della tredicesima;

si noti, inoltre, che le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, l'intervento riguarderà pertanto una platea di lavoratori amplissima;

allo stesso modo, la norma relativa al differimento della corresponsione dei trattamenti di fine servizio dei dipendenti pubblici oltre ad apparire ingiustamente punitiva non porta efficienza, ma soltanto un temporaneo effetto di cassa;

tutto ciò premesso,

esprime parere contrario.

MANOVRA CORRETTIVA AGOSTO 2011 - PARTE V - L'ESAME DELLA COMMISSIONE LAVORO DEL SENATO - IL TESTO DI PROPOSTA APPROVATO

Il 22 ed il 23 agosto si sono tenute le due sedute della Commissione Lavoro del Senato aventi ad oggetto l'esame del provvedimento di conversione del D.L. 138/2011.

La Commissione, con l'importante (politicamente) sostegno del gruppo Unione di Centro, SVP e Autonomie (oltre a Lega e Responsabili), ha approvato lo schema di parere favorevole con osservazioni avanzato dal relatore che riporto di seguito.

"La Commissione lavoro, previdenza sociale, esaminati gli interventi in materia di lavoro e previdenza sociale contenuti nel decreto-legge n. 138 del 2011,
considerato che le misure contenute nel presente decreto in materia di mercato del lavoro e di relazioni industriali rappresentano indubitabilmente un quadro di interventi idoneo a stimolare lo sviluppo economico del Paese, favorendone la competitività nell'arena internazionale, e a generare un'accelerazione nel recupero di più elevati livelli occupazionali;
valutato positivamente che, in particolare, i provvedimenti in esame delineano risposte coerenti rispetto alle sollecitazioni europee a procedere nella direzione di incrementare l'attrattività del nostro sistema produttivo per gli investimenti internazionali, attraverso il rafforzamento delle flessibilità organizzative, della collaborazione fra le parti sociali, del dinamismo gestionale, della semplicità e dell'affidabilità regolatoria;
rilevato, altresì, che l'indicazione delle materie inerenti l'organizzazione del lavoro e della produzione, che possono costituire oggetto delle specifiche intese di cui all'articolo 8, comma 2, è da intendersi come tassativa, trattandosi comunque di fattispecie derogatorie rispetto all'ordinaria disciplina normativa delle materie in questione,
esprime, per quanto di competenza, parere favorevole, con le seguenti osservazioni.
Preliminarmente, si raccomanda che la contrattazione avente a oggetto azioni di flessibilità organizzativa family-friendly e di conciliazione tra famiglia e lavoro sia considerata, in relazione all'Avviso Comune del 7 marzo 2011, all'interno dell'area di operatività del presente decreto.
In coerenza con l'Avviso Comune sottoscritto dalle parti sociali il 9 dicembre 2009 e in sintonia con il dibattito svoltosi dinanzi alle Commissioni riunite Lavoro e Finanze del Senato nell'ambito dell'esame dei disegni di legge sulla partecipazione azionaria dei lavoratori (disegni di legge nn. 803, 964, 1307, 1531 e 2572), valuti la Commissione di merito l'inserimento, al comma 1 dell'articolo 8, di una specificazione aggiuntiva, affiancando a quelle già individuate un'ulteriore fattispecie di finalizzazione "all'adozione di forme di partecipazione dei lavoratori", ovvero di un'integrazione alla prevista fattispecie finalizzata alla qualità dei contratti di lavoro, precisando "anche attraverso l'adozione di forme di partecipazione dei lavoratori".
Al fine di promuovere le intese di cui al comma 1 dell'articolo 8, pare opportuno l'inserimento del seguente comma: «2-bis. Le specifiche intese di cui al comma 1 operano anche in deroga alle disposizioni di legge richiamate dal comma 2 e dalle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro e beneficiano dell'applicazione dell'imposta sostitutiva del 10 per cento sulle componenti accessorie della retribuzione ai sensi della normativa vigente.».
Inoltre, in merito alle disposizioni relative al comma 2, dell'articolo 8, si ribadisce che il licenziamento della lavoratrice in gravidanza è radicalmente nullo, e dunque sottratto a interventi di natura contrattuale.
Con riferimento all'articolo 9, comma 1, lettera a),in materia di lavoratori aventi diritto al collocamento obbligatorio e al regime delle compensazioni, al fine di evitare una antinomia interna all'articolo medesimo, si propone di sostituire le parole: «di ciascuna impresa» con le seguenti: «a livello di gruppo». Inoltre alla lettera b), capoverso 8-ter, del medesimo articolo, onde evitare che la compensazione territoriale in ambito regionale non operi in regime di autorizzazione, ma in via automatica, si propone di inserire infine il seguente periodo: «In tali ipotesi, la compensazione viene operata in via automatica.»

Si osserva altresì come la previsione del comma 24 dell'articolo 1, relativa alla collocazione delle festività civili e del Santo Patrono, affidi all'esercizio annuale della discrezionalità del Governo un intervento le cui potenzialità, in termini non soltanto di razionalizzazione dei flussi programmatori ma anche e soprattutto di incremento della produttività complessiva del nostro sistema industriale, sono formidabili e pertanto si raccomanda il suo utilizzo nella forma più ampia e strutturale, ricorrendo - secondo il modello delineato dall'Accordo Interconfederale del 26 gennaio 1977 - alla cogente e costante traslazione alla domenica successiva della fruizione delle festività infrasettimanali in esame.

Infine, a livello di correzioni formali del testo del decreto, si invita la Commissione di merito a modificare, all'articolo 12, comma 1, capoverso «Art. 603-ter», le parole: «di cui al primo comma» con le seguenti: «di cui al primo periodo» e le parole: «di cui al secondo comma» con le seguenti: «di cui al secondo periodo»".

Come avevo previsto si delinea quindi un intervento chiarificatore in ordine alla portata degli accordi aziendali di cui all'art. 8, prevedendo espressamente la possibilità che essi deroghino la legge e i CCNL.



Excursus dei lavori della Commissione.

Il 22.8.2011 ha preso la parola il Relatore del provvedimento, il senatore Castro (PDL.
Si tratta di un senatore alla prima legislatura, veneto, del 1954, tra l'altro ex D.G. dell'INAIL ed ex responsabile delle risorse umane della Zanussi, proveniente (per semplificare) dal mondo industriale del nord-est.
Questi i punti più interessanti, a mio avviso del suo intervento.
Castro parte, in primo luogo, dai commi 1 e 2 dell'articolo 8, concernenti i possibili contenuti dei contratti collettivi di lavoro sottoscritti, a livello aziendale o territoriale, dalle associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, ovvero dalle rappresentanze sindacali operanti in azienda. Afferma che la norma prevede che tali contratti possano definire specifiche intese, volte al conseguimento degli obiettivi di cui al comma 1 (maggiore occupazione, qualità dei contratti di lavoro, emersione del lavoro irregolare, incrementi di competitività e di salario, gestione delle crisi aziendali e occupazionali, investimenti e avvio di nuove attività), e che, a tali fini, gli accordi possano ridefinire la regolazione delle materie inerenti all'organizzazione del lavoro e della produzione, materie di cui il comma 2 reca un'esemplificazione. Ancorché tale comma non contempli esplicitamente la possibilità di deroga alle norme di fonte pubblica, essa va tuttavia ritenuta implicita e compiuta, come si deduce dal fatto che, per la materia del recesso dal rapporto di lavoro, si fanno salve le norme sul licenziamento discriminatorio e sul licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio. Peraltro, nell'ambito delle materie lavoristiche oggetto del comma 2, nell'ordinamento figurano altre norme che sono e restano di natura inderogabile, a prescindere dalla presenza o meno di un esplicito richiamo nel comma stesso.
Sempre con riferimento al comma 1 di detto articolo, il relatore riterrebbe opportuno inserire nella disposizione una specificazione aggiuntiva, affiancando a quelle già individuate una ulteriore fattispecie di finalizzazione "all'adozione di forme di partecipazione dei lavoratori", ovvero integrare la fattispecie finalizzata alla qualità dei contratti di lavoro, "anche attraverso l'adozione di forme di partecipazione dei lavoratori".

Sono poi intervenuti i membri appartenenti alla minoranza politica.
Riporto solo, e per la parte relativa all'art. 8, l'intervento del Prof. Ichino.
Il senatore ICHINO (PD) si sofferma in particolare sull'articolo 8, che giudica l'ultimo episodio di una strategia politica sconcertante: il tentativo di riformare la chiave di volta del diritto del lavoro, cioè la disciplina del licenziamento di cui all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, senza tuttavia farvi esplicito riferimento. Reputa pertanto deplorevole, sia da un punto di vista politico che morale, che il Ministro del lavoro, dopo aver indotto il Governo ad adottare una disposizione, dichiari alla stampa che in realtà il provvedimento non tocca in nessun modo l'articolo 18. Analogo metodo era invero stato seguito in occasione del collegato lavoro, che già tentò di smontare l'articolo 18 consentendo che la materia del licenziamento potesse essere devoluta dal contratto individuale ad un arbitro di fatto scelto dal datore di lavoro. Intervenne a correggere il tiro il Capo dello Stato, allorché, nel messaggio di rinvio alle Camere, pur non negando la legittimità di una riforma legislativa in materia, sottolineò che essa dovesse essere oggetto di una proposta esplicita, e non di modifiche presentate sotto mentite spoglie. La stessa sconcertante modalità è riaffiorata nel disegno di legge delega sullo Statuto dei lavori, mai presentato alle Camere, ma sottoposto alle parti sociali, e che si sostanzia in una delega in bianco al Governo. L'articolo 8 del decreto legge in esame finisce ora con l'affidare ad una contrattazione collettiva aziendale il diritto del lavoro nella sua interezza, che può risultare azzerato anche ignorando gli standard internazionali e i vincoli costituzionali interni. Basti pensare al collocamento in favore dei portatori di handicap. Potrà così verificarsi la scissione dello stesso tessuto produttivo in due tronconi: in uno la maggioranza resterà affidata alle confederazioni sindacali, e nell'altro maggioranze occasionali o manipolate consentiranno all'imprenditore di negoziare, e per di più senza la partecipazione della controparte interessata, ottenendo l'esenzione da qualsiasi norma inderogabile. Peraltro, la contrattazione potrà anche esentare il committente o l'appaltatore dalla solidarietà passiva nei confronti dell'INPS e dell'Erario. Si è dunque in presenza di una norma sgangherata e non meditata. La questione è cruciale: la materia dei licenziamenti investe il bene centrale, vale a dire la sicurezza economica e professionale delle persone, la tutela dell'"ultimo della fila", il più sfortunato, la cui difesa sostanzia lo stesso indice della civiltà in un Paese. Peraltro, allo stato, il diritto del lavoro tutela appena la metà dei lavoratori dipendenti che operano nell'impresa. In questo senso vanno anche quei pochi passaggi della lettera inviata dalle autorità della BCE al Governo che sono stati resi noti, che hanno evidenziato la necessità di interventi finalizzati a riformare il mercato del lavoro in Italia, conciliando la maggior flessibilità per le strutture produttive con una maggiore sicurezza per i lavoratori, nonché il superamento del dualismo tra lavoratori protetti e non protetti. Di questa importante questione non c'è traccia nell'articolo 8, che finisce col destrutturare il sistema delle relazioni industriali, con criteri che nulla hanno a che fare con l'Accordo interconfederale del giugno scorso.

Gli altri membri di opposizione intervenuti, tra questi l'ex. ministro Treu, evidenziano come l'art. 8 costituisca una surrettizia deroga all'art. 18 SdL.

Afferma il Senatore Treu.
"Con l'articolo 8, il Governo si è cacciato in un autentico pasticcio. Innanzitutto, è bene sgombrare il campo da un malinteso testuale: l'affermazione che i contratti collettivi di lavoro "possono" realizzare specifiche intese, di cui al comma 1, lungi dal sostanziare una sorta di autorizzazione, va letto insieme alla disposizione di cui al comma successivo: se ne deduce così che esso indica in realtà l'attribuzione di un potere, costituendo una delega alla contrattazione affinché delegifichi. Peraltro, se il parlare di associazioni dei lavoratori "comparativamente più rappresentative" rappresenta una formula vecchia e oramai desueta, il riferimento successivo alle "rappresentanze sindacali operanti in azienda" è non solo inedita, ma anche indeterminata, non contenendo alcun riferimento né all'essere le medesime elette, né all'essere rappresentative. Ci si trova pertanto di fronte ad un vero e proprio vulnus al concetto stesso di rappresentanza sindacale, così come da ultimo fissato nell'Accordo intersindacale del 28 giugno scorso. Rispetto ad una norma così pericolosa, non giovano i pur meritori tentativi interpretativi forniti dal relatore, risultando evidentemente difficile distinguere se l'uso derogatorio della disposizione venga o meno effettuato con finalità positive, proprio alla luce della dizione letterale del comma 1. Peraltro, in caso di dubbio in ordine alla rispondenza del comma 1 alla regolazione delle materie di cui al comma 2, risulterebbe difficile la determinazione dell'arbitro della questione. Quanto alle materie specificate appunto nel comma 2 dell'articolo 8, si tratta effettivamente di tutte quelle che regolano l'organizzazione del lavoro, e dunque anche di quelle sulla sicurezza. La disposizione appare pertanto anche costituzionalmente censurabile. Particolari perplessità desta poi in particolare la lettera e), riguardante le modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA, la trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e le conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, eccezion fatta per il licenziamento discriminatorio e quello della lavoratrice in concomitanza del matrimonio.
Si tratta dunque di una normativa senza precedenti, considerato che nella stessa proposta relativa al cosiddetto "Statuto dei lavori" si dichiarava di voler tenere fermi alcuni principi di base, affidando la flessibilizzazione della parte rimanente alla contrattazione collettiva. Beninteso, la storia del diritto del lavoro conosce norme del genere, ma attraverso una delega puntuale e con criteri precisi, mentre qui si è in presenza di una delega alla contrattazione, senza alcun limite e in assenza di criteri direttivi. Si tratta di un disegno mai immaginato neppure dai Governi più liberisti e che contiene peraltro ampie concessioni ad una filosofia pansindacale. Ne risulta una sorta di balcanizzazione del diritto del lavoro, in cui è lecito immaginare situazioni ampiamente differenziate tra regioni d'Italia - basti mettere a confronto l'Emilia Romagna con il Veneto - e situazioni variegatissime all'interno delle piccole e medie imprese. Dubita che ciò possa giovare all'ordinato svolgimento del sistema produttivo e si augura che tali considerazioni possano trovare accoglimento nel corso dell'esame del provvedimento".


lunedì 22 agosto 2011

MANOVRA CORRETTIVA AGOSTO 2011 - NOVITA' IN MATERIA DI DIRITTO DEL LAVORO - PARTE IV - CONTRATTAZIONE DI PROSSIMITA' - PORTATA DELLA NORMA

Solo per segnalare che stamane 22 agosto 2011 il Sole 24 Ore, nell'esaminare il DL 138/2011 e, in particolare l'art. 8, fornisce un'interpretazione identica a quanto da me osservato nell'ultimo post in materia: la norma non consente espressamente ai contratti aziendali (o di prossimità) di derogare a norme di legge e neanche ai CCNL (ci riferiamo soprattutto in particolare al delicato ambito della deroga alla disciplina dei licenziamenti). Quindi, stando così le cose, o in sede di conversione interverrà un'aggiunta chiara (non una semplice specificazione), oppure la norma è destinata solo ad incidere in maniera limitata sul sistema delle relazioni industriali ("sanando" i contratti stipulati prima dell'accordo interconfederale).

LICENZIAMENTO: POTERI DEL GIUDICE

Con sentenza n. 17093 dell’8 agosto 2011, la Cassazione ha affermato che “in tema di licenziamento per giustificato motivo soggettivo nell’esprimere un giudizio di valore necessario per integrare la norma, il giudice di merito compie un’attività di interpretazione giuridica e non meramente fattuale della norma stessa per cui dà concretezza quella parte mobile di essa che il Legislatore ha voluto tale per adeguarla ad un determinato contesto storico sociale. Ne consegue che il giudizio sulla futura affidabilità del lavoratore licenziato non può essere espresso dal giudice violando i principi costituzionali da cui si desume che l’assetto organizzativo dell’impresa è di regola insindacabilmente stabilito dal datore di lavoro e che il giudice non può imporre all’imprenditore modifiche alle proprie scelte organizzative”.

giovedì 18 agosto 2011

MANOVRA CORRETTIVA AGOSTO 2011 - NOVITA' IN MATERIA DI DIRITTO DEL LAVORO - PARTE III - CONTRATTAZIONE DI PROSSIMITA' - PORTATA DELLA NORMA

Brevi e personali considerazioni in ordine alle modifiche introdotte dall'art. 8 del DL del 13.8.11 n. 138.
La norma in prima battuta incide sul sistema delle relazioni sindacali e sulla contrattazione aziendale, seguendo l'oramai condivisa direttrice dei contratti di prossimità, ma ha conseguenze rilevantissime su due punti sostanziali di enorme rilievo pratico, quali la classificazione del personale e la materia dei licenziamenti.
Viene prevista una efficacia vincolante ai contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale ovvero dalle rappresentanze sindacali operanti in azienda.
Il dibattito che si sta sviluppando in queste ore attiene alla incidenza che la novità legislativa ha (o potrebbe avere) sul sistema legislativo in tema di licenziamento. Ci si chiede, per essere più chiari, se la riforma possa ritenersi una sostanziale abrogazione dell'art. 18 SDL.
Sul punto i commenti sono i più disparati.
La CGIL sostiene che finanche l'ufficio studi del Senato abbia chiarito come i nuovi contratti aziendali (o di prossimità, se si preferisce), possano derogare non solo ai contratti collettivi nazionale, ma addirittura finanche alla legge e, pertanto, allo statuto. Su tale base la CGIL è giunta a minacciare uno sciopero generale.
Personalmente mi attengo ai criteri di ermeneusi a tutti noti e, pertanto, parto dalla lettera della legge. Stando a tale lettura in alcun punto rinvengo una portata derogatoria della nuova norma. In nessun punto dell'art. 8 si legge che i contratti aziendali approvati con le prescritte maggioranza possano derogare ai CCNL o, addirittura, a leggi statali.
L'equivoco, a parer mio, sorge dalla esclusione, tra le materie regolabili dai nuovi accordi, di alcuni tipi di licenziamento, quali quello discriminatorio, o meglio, delle loro conseguenze.
Sicuramente tale specificazione crea confusione, ma da qui a trarne la conclusione che un contratto aziendale possa derogare all'art. 18 SDL il passo è decisamente lungo.
D'altro canto è ben nota la posizione del ministro Sacconi circa la necessità di una rapida revisione dell'art. 18 Sdl compatibilmente con l'esito referendario.
Sono certo che il tutto verrà meglio chiarito in sede di conversione.

Concludo riportando un breve stralcio di un'intervista del prof. Ichino alla Stampa sul punto.

Domanda: Professor Ichino nella nuova manovra c’è una forte quota di provvedimenti sul lavoro. Le norme sono tante ed eterogenee, ma volendo dare un primo giudizio di sintesi come le sembra che venga affrontata la materia?
Risposta: La misura di gran lunga più rilevante, in materia di lavoro, è quella tendente a rendere derogabili mediante contratto collettivo tutte le norme che non corrispondano a uno standard fissato da una convenzione internazionale o da una direttiva europea. Mi sembra che ancora una volta, come già più volte in passato, l’intendimento principale del Governo sia quello di depotenziare o svuotare l’articolo 18 dello Statuto del 1970, senza però nominarlo. Questo modo di affrontare la questione finora non ha prodotto alcun risultato.
Domanda: Perché?
Risposta: Perché non si può affrontare la questione soltanto dal lato della disciplina dei licenziamenti, senza affrontarla contemporaneamente anche sul versante della sicurezza del lavoratore nel mercato del lavoro. La stessa Banca Centrale Europea indica questa strada, che è poi quella della migliore flexicurity europea.
Domanda: Ma noi oggi non abbiamo né le risorse né il know-how necessari
Risposta: In realtà le imprese avrebbero entrambe le cose. Occorrerebbe responsabilizzarle su questo punto, in cambio della flessibilizzazione della disciplina. E si dovrebbe partire da una riforma della materia limitata alle sole assunzioni future. C’è più di un progetto che lo prevede. Ma per questo occorrerebbe che la questione venisse affrontata in modo esplicito e organico. Non mi sembra realistica, poi, questa idea del Governo di delegare per intero una materia così complessa alla sola contrattazione aziendale.



MANOVRA CORRETTIVA AGOSTO 2011 - NOVITA' IN MATERIA DI DIRITTO DEL LAVORO - PARTE II

Nel precedente post ho riportato l'art. 8 del DL del 13.8.11, che ritengo avere una importanza notevole, di seguito riporto le altre norme ugualmente di nostro interesse ma con relativamente minore incidenza.


Art. 9.
Collocamento obbligatorio e regime delle compensazioni
1. All'articolo 5 della legge 12 marzo 1999, n. 68, sono apportate le seguenti modifiche:
a) il comma 8 è sostituito dal seguente: «8. Gli obblighi di cui agli articoli 3 e 18 devono essere rispettati a livello nazionale. Ai fini del rispetto degli obblighi ivi previsti, i datori di lavoro privati che occupano personale in diverse unità produttive e i datori di lavoro privati di imprese che sono parte di un gruppo ai sensi dell'articolo 31 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 possono assumere in una unità produttiva o, ferme restando le aliquote d'obbligo di ciascuna impresa, in una impresa del gruppo avente sede in Italia, un numero di lavoratori aventi diritto al collocamento mirato superiore a quello prescritto, portando in via automatica le eccedenze a compenso del minor numero di lavoratori assunti nelle altre unita' produttive o nelle altre imprese del gruppo aventi sede in Italia»;
b) dopo il comma 8 sono inseriti i seguenti commi:
«8-bis. I datori di lavoro privati che si avvalgono della facoltà di cui al comma 8 trasmettono in via telematica a ciascuno dei servizi competenti delle province in cui insistono le unità produttive della stessa azienda e le sedi delle diverse imprese del gruppo di cui all'articolo 31 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, il prospetto di cui all'articolo 9, comma 6, dal quale risulta l'adempimento dell'obbligo a livello nazionale sulla base dei dati riferiti a ciascuna unità produttiva ovvero a ciascuna impresa appartenente al gruppo»;
«8-ter. I datori di lavoro pubblici possono essere autorizzati, su loro motivata richiesta, ad assumere in una unità produttiva un numero di lavoratori aventi diritto al collocamento obbligatorio superiore a quello prescritto, portando le eccedenze a compenso del minor numero di lavoratori assunti in altre unità produttive della medesima regione»;
«8-quater. Sono o restano abrogate tutte le norme incompatibili con le disposizioni di cui ai commi 8, 8-bis e 8-ter».
Art. 10.
Fondi interprofessionali per la formazione continua
1. All'articolo 118, comma 1, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, dopo le parole «si possono articolare regionalmente o territorialmente» aggiungere le seguenti parole «e possono altresì utilizzare parte delle risorse a essi destinati per misure di formazione a favore di apprendisti e collaboratori a progetto».
Art. 11.
Livelli di tutela essenziali per l'attivazione dei tirocini
1. I tirocini formativi e di orientamento possono essere promossi unicamente da soggetti in possesso degli specifici requisiti preventivamente determinati dalle normative regionali in funzione di idonee garanzie all'espletamento delle iniziative medesime. Fatta eccezione per i disabili, gli invalidi fisici, psichici e sensoriali, i soggetti in trattamento psichiatrico, i tossicodipendenti, gli alcolisti e i condannati ammessi a misure alternative di detenzione, i tirocini formativi e di orientamento non curriculari non possono avere una durata superiore a sei mesi, proroghe comprese, e possono essere promossi unicamente a favore di neo-diplomati o neo-laureati entro e non oltre dodici mesi dal conseguimento dei relativo titolo di studio.
2. In assenza di specifiche regolamentazione regionali trovano applicazione, per quanto compatibili con le disposizioni di cui al comma che precede, l'articolo 18 della legge 24 giugno 1997 n. 196 e il relativo regolamento di attuazione.
Art. 12.
Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro
1. Dopo l'articolo 603 del codice penale sono inseriti i seguenti:
«Art. 603-bis (Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro). - Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque svolga un'attività organizzata di intermediazione, reclutando manodopera o organizzandone l'attività lavorativa caratterizzata da sfruttamento, mediante violenza, minaccia, o intimidazione, approfittando dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori, è punito con la reclusione da cinque a otto anni e con la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato.
Ai fini del primo comma, costituisce indice di sfruttamento la sussistenza di una o più delle seguenti circostanze:
1) la sistematica retribuzione dei lavoratori in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato;
2) la sistematica violazione della normativa relativa all'orario di lavoro, al riposo settimanale, all'aspettativa obbligatoria, alle ferie;
3) la sussistenza di violazioni della normativa in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro, tale da esporre il lavoratore a pericolo per la salute, la sicurezza o l'incolumità personale;
4) la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, metodi di sorveglianza, o a situazioni alloggiative particolarmente degradanti.
Costituiscono aggravante specifica e comportano l'aumento della pena da un terzo alla metà:
1) il fatto che il numero di lavoratori reclutati sia superiore a tre;
2) il fatto che uno o più dei soggetti reclutati siano minori in età non lavorativa;
3) l'aver commesso il fatto esponendo i lavoratori intermediati a situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro.
Art. 603-ter (Pene accessorie). - La condanna per i delitti di cui agli articoli 600, limitatamente ai casi in cui lo sfruttamento ha ad oggetto prestazioni lavorative, e 603-bis, importa l'interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche o delle imprese, nonché il divieto di concludere contratti di appalto, di cottimo fiduciario, di fornitura di opere, beni o servizi riguardanti la pubblica amministrazione, e relativi subcontratti. La condanna per i delitti di cui al primo comma importa altresì l'esclusione per un periodo di due anni da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi da parte dello Stato o di altri enti pubblici, nonché dell'Unione europea, relativi al settore di attività in cui ha avuto luogo lo sfruttamento. L'esclusione di cui al secondo comma è aumentata a cinque anni quando il fatto è commesso da soggetto al quale sia stata applicata la recidiva ai sensi dell'articolo 99, secondo comma, numeri 1) e 3)».

MANOVRA CORRETTIVA AGOSTO 2011 - NOVITA' IN MATERIA DI DIRITTO DEL LAVORO - PARTE I

Come noto il 13 agosto 2011 è stato pubblicato in G.U. il D.L. n. 138 che, nell'ottica di introdurre riforme che consentano una ripresa economica, incide nuovamente, dopo l'ultima manovra del luglio 2011, su aspetti sostanziali del diritto del lavoro.
Andiamo con ordine riportando il testo delle novità che il decreto, NON ANCORA CONVERTITO IN LEGGE, ha introdotto con efficacia immediata.

Titolo III
MISURE A SOSTEGNO DELL'OCCUPAZIONE

Art. 8.
Sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità
1. I contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale ovvero dalle rappresentanze sindacali operanti in azienda possono realizzare specifiche intese finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all'avvio di nuove attività.
2. Le specifiche intese di cui al comma 1 possono riguardare la regolazione delle materie inerenti l'organizzazione del lavoro e della produzione incluse quelle relative: a) agli impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie; b) alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale; c) ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarieta' negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro; d) alla disciplina dell'orario di lavoro; e) alle modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA, alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio e il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio.
3. Le disposizioni contenute in contratti collettivi aziendali vigenti, approvati e sottoscritti prima dell'accordo interconfederale del 28 giugno 2011 tra le parti sociali, sono efficaci nei confronti di tutto il personale delle unità produttive cui il contratto stesso si riferisce a condizione che sia stato approvato con votazione a maggioranza dei lavoratori.