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giovedì 26 gennaio 2012

LICENZIAMENTO PER SUPERAMENTO ETA' PENSIONABILE: LE NOVITA' DEL D.L. 201/2011 (DECRETO SALVA ITALIA)


Vi e' un diritto potestativo del lavoratore a proseguire l'attivita' lavorativa fino a 70 anni o alla maggiore eta' riparametrata in base alle speranze di vita, pertanto un eventuale licenziamento e' possibile solo per giusta causa o giustificato motivo
Con la riforma del sistema pensionistico introdotta dall’articolo 24 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazione in legge n. 214 del 22 dicembre 2011, i lavoratori possono optare per la prosecuzione del rapporto di lavoro fino a 70 anni, età che può ulteriormente innalzarsi per effetto dell’adeguamento all’incremento della speranza di vita, accertato dall’Istat e validato da Eurostat, a norma dell’articolo 12 del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 e successive modificazioni e integrazioni.
Il proseguimento dell'attività lavorativa è incentivato dall’applicazione di coefficienti di trasformazione calcolati fino all'età di 70 anni, fatti salvi gli adeguamenti alla speranza di vita.
E’ pertanto prevista l’estensione del coefficiente – nell’ambito della medesima procedura di cui all’articolo 1, comma 11, della L. 335/1995 - considerando quindi anche le età maggiori del limite di 70 anni, ogniqualvolta il predetto adeguamento triennale comporti, con riferimento al valore originariamente indicato in 70 anni per l’anno 2012, l’incremento dello stesso tale da superare di una o più unità il predetto valore soglia.
Durante il periodo di proseguimento dell’attività lavorativa si applica l’articolo 18 della legge n. 300/1970 come espressamente previsto dal comma 4 dell’articolo 24 del D.L. 201/2011: “L’efficacia delle disposizioni di cui all’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300 e successive modificazioni opera fino al conseguimento del predetto limite massimo di flessibilità”. Stante il tenore letterale della disposizione, sembra potersi ritenere che la tutela reale si applichi alle imprese che occupano più di quindici dipendenti, ferma restando la tutela c.d. obbligatoria per le altre.
In tal senso il Ministero del Lavoro ha risposto al quesito posto durante il Videoforum del 18 gennaio 2011 organizzato da Ipsoa e ItaliaOggi., volto a sapere se il mantenimento dell’articolo 18 riguarda tutti i datori di lavoro o solo quelli ai quali si applica la tutela reale. Secondo il Ministero, il riferimento è espressamente all’articolo 18 ed è, pertanto, relativo alle aziende con più di 15 dipendenti. Ai lavoratori impiegati presso datori di lavoro che impiegano fino a 15 dipendenti si applicherà, in caso di licenziamento comminato per il superamento dell’età generalmente pensionabile, il principio indennitario di cui alla c.d. tutela obbligatoria.
Ciò significa che vi è un diritto potestativo del lavoratore a proseguire l’attività lavorativa fino a 70 anni o alla maggiore età riparametrata in base alle speranze di vita, pertanto un eventuale licenziamento è possibile solo per giusta causa o giustificato motivo.
Fermo restando che l’età per il pensionamento di vecchiaia sarà a regime di 67 anni dal 2021 – fatto salvo l’adeguamento alle aspettative di vita – il comma 15-bis dell’articolo 24 del DL 201/2011 consente , in via eccezionale, un trattamento più favorevole per i lavoratori dipendenti del settore privato le cui pensioni sono liquidate a carico dell'assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive della medesima:
"a) i lavoratori che abbiano maturato un'anzianità contributiva di almeno 35 anni entro il 31 dicembre 2012 i quali avrebbero maturato, prima della data di entrata in vigore del presente decreto, i requisiti per il trattamento pensionistico entro il 31 dicembre 2012 ai sensi della Tabella B allegata alla legge 23 agosto 2004, n. 243, e successive modificazioni, possono conseguire il trattamento della pensione anticipata al compimento di un'età anagrafica non inferiore a 64 anni;
b) le lavoratrici possono conseguire il trattamento di vecchiaia oltre che, se più favorevole, ai sensi del comma 6, lettera a), con un'età anagrafica non inferiore a 64 anni qualora maturino entro il 31 dicembre 2012 un'anzianità contributiva di almeno 20 anni e alla medesima data conseguano un'età anagrafica di almeno 60 anni."
 (di Alfredo Casotti, Maria Rosa Gheido)

sabato 21 gennaio 2012

COME SI EFFETTUA UNA CONTESTAZIONE DISCIPLINARE


(art. 7, c. 2 e 5, L. 300/70)

La contestazione di infrazioni comportanti sanzioni disciplinari più gravi del rimprovero verbale deve avvenire per iscritto. Tale requisito è considerato imprescindibile sia per esigenze di certezza e di immutabilità, che per fissare il termine per l'applicazione della sanzione disciplinare (Cass. 21 giugno 1988 n. 4240).
La legge non indica le modalità di consegna dell'atto al lavoratore: la comunicazione, pertanto, non deve aver luogo necessariamente con lettera raccomandata e l'avvenuta ricezione non deve essere documentata dalla firma del destinatario, essendo sufficiente e legittima una consegna dell'atto scritto operata da persona incaricata dal datore di lavoro (Cass. 1° giugno 1988 n. 3716).
L'avvenuta contestazione dell'addebito può essere provata con ogni mezzo.
In generale, vale la presunzione di conoscenza prevista dal codice civile (art. 1335 c.c.) per gli atti unilaterali recettizi (cioè gli atti che si presumono conosciuti una volta giunti all'indirizzo del destinatario), a prescindere da un eventuale rifiuto del destinatario di ricevere l'atto (Cass. 3 novembre 2008 n. 26390Cass. 7 maggio 1992 n. 5393). La prova dell'avvenuta contestazione può anche essere fornita tramite la testimonianza della persona incaricata di consegnarla (Cass. 1° giugno 1988 n. 3716).
Quando il datore di lavoro ha inoltrato la lettera di contestazione mediante raccomandata, è sufficiente la prova dell'avvenuto avviso, all'indirizzo del lavoratore destinatario, della giacenza del plico postale (Cass. 10 novembre 1990 n. 10853).
L'effettiva conoscenza dell'addebito diversamente conseguita dal lavoratore non può essere equiparata alla contestazione per iscritto.

domenica 15 gennaio 2012

OMESSO VERSAMENTO CONTRIBUTIVO - RESPONSABILI IN SOLIDO ENTE APPALTANTE E IMPRESA APPALTATRICE



Giova ricordare che l'art. 29, comma 2, D.Lgs. 10-09-2003, n. 276, recante "Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla L. 14 febbraio 2003, n. 30", prevede che "In caso di appalto di opere o di servizi il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l'appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali ulteriori subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali dovuti".
La norma persegue la finalità di incrementare il livello di adempimento degli obblighi fiscali, previdenziali, assicurativi e di sicurezza sul lavoro cui sono tenute le imprese che operano in qualità di appaltatori o subappaltatori. In tale ottica, la norma prevede un vincolo di responsabilità solidale tra committente, appaltatore ed eventuali subappaltatori, entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto senza limiti quantitativi, per la corresponsione ai lavoratori dei trattamenti retributivi e dei contributi previdenziali dovuti.
Dopo alcune oscillazioni della prassi e non senza alcune voci in senso contrario in dottrina, la disciplina dell'art. 29, comma 2, D.Lgs. 10-09-2003, n. 276 è stata ritenuta applicabile dalla Giurisprudenza prevalente anche agli appalti (di opere o di servizi) della P.A. (v. per tutti Trib. Milano Sez. lavoro, 22 gennaio 2010).
Ai fini della corretta applicazione della disposizione in esame, si è posto altresì il problema di definire la portata dell'espressione "contributi previdenziali dovuti".
Sul punto la dottrina più autorevole ha ritenuto che il vincolo di solidarietà riguarda qualsiasi omissione contributiva posta in essere dall'appaltatore o dal subappaltatore, comprese le contribuzioni da versare agli Enti esercenti forme di previdenza complementare.
La soluzione appare condivisibile perché, in effetti, si rivela la più coerente, oltre che con il dato letterale - che non autorizza ad operare distinzioni di sorta - con la ratio della disciplina in esame, che mira, come già ricordato, a rafforzare l'effettività della complessiva posizione giuridica retributiva e previdenziale dei lavoratori impiegati nell'appalto.

(di Andrea Faccon)

domenica 8 gennaio 2012

INFORTUNI SUL LAVORO - L'ESONERO DEL DATORE DI LAVORO

In allegato il testo di un saggio a firma di Stefano Giubboni, associato presso la cattedra di Diritto del lavoro all'Università di Perugia, in tema di infortuni sul lavoro e malattie professionali.
L'occasione è il commento del testo di De Matteis (Giuffrè) "Infortuni sul lavoro e malattie professionali", presentato al Palazzaccio.
In particolare l'autore "riesuma" la regola dell'esonero del datore di lavoro per gli infortuni e le malattie suddette prevista dal T.U. del 1965, regola che ha subito, commenta l'Autore, una progressiva ma costante erosione "endogena ed esogena", che ha finito non solo per svuotare la norma stessa di significato concreto, ma per ribaltarla sostanzialmente. Tale ribaltamento è coinciso con l'introduzione dall'esterno dei meccanismo in tema di risarcimento in tema di responsabilità contrattuale.
Il breve saggio è interessante anche quale esempio fulgido di come alcuni principi giuridici possano divenire nel breve volger di tempo, ipotesi di "archeologia giuridica", finendo quasi per essere del tutto dimenticati dagli Operatori.

Il testo a questo link

venerdì 6 gennaio 2012

NULLITA' DEL VERBALE CONCILIATIVO IN SEDE SINDACALE

Cass. N. 3237/2011; Cass. 13217/2008; Cass. N. 13910/1999 affermano che il verbale conciliativo in sede sindacale non sottoscritto contestualmente dal lavoratore e dal sindacalista non assume neppure valenza di rinuncia non impugnata. L’atto nullo è improduttivo di qualsivoglia effetto, primo tra tutti quello abdicativo dei diritti rinunciato e, pertanto, non può essere “convertito”. 

CONTRIBUTO UNIFICATO - LE NOVITA' DAL PRIMO GENNAIO 2012 - DOMANDA RICONVENZIONALE E CHIAMATA DEL TERZO - IL REGIME TRANSITORIO




Come noto oramai il contributo unificato, sebbene ridotto, si applica anche alle controversie in materia di lavoro.
Come se non bastasse dal 1° gennaio anche la domanda riconvenzionale è soggetta al contributo non più per differenza rispetto al valore originario della causa e, pertanto, solo in caso di aumento di detto valore, ma in modo autonomo come se si trattasse di una nuova controversia!

L'articolo 28 della Legge di Stabilità (n. 183/2011), è intervenuto sull'articolo 14 del TUGS (D.lgs 115/2002), prevedendo un’integrazione del contributo, per chi abbia iniziato la causa e poi modificato la domanda, ovvero per chi proponga una domanda riconvenzionale o chiamato terzi in causa. Il contributo sarà, invece, dovuto per l’intero (C.U. autonomo), in base al valore della domanda, dalle parti che modifichino la domanda o propongano domanda riconvenzionale o formulino chiamata in causa di un terzo o svolgano intervento autonomo. Se il terzo chiamato modifica la domanda, propone riconvenzionale o chiama altri in causa, anche lui dovrà pagare un contributo autonomo calcolato sul valore della domanda. 
Tutto ciò a partire dal 1° gennaio 2012.

Il nuovo art. 14 del TU Spese Giustizia è quindi il seguente.

Art. 14 - Obbligo di pagamento.
1. La parte che per prima si costituisce in giudizio, che deposita il ricorso introduttivo, ovvero che, nei processi esecutivi di espropriazione forzata, fa istanza per l'assegnazione o la vendita dei beni pignorati, è tenuta al pagamento contestuale del contributo unificato.
2. Il valore dei processi, determinato ai sensi del codice di procedura civile senza tener conto degli interessi,, deve risultare da apposita dichiarazione resa dalla parte nelle conclusioni dell'atto introduttivo, anche nell'ipotesi di prenotazione a debito (1).
3. La parte di cui al comma 1, quando modifica la domanda o propone domanda riconvenzionale o formula chiamata in causa, cui consegue l'aumento del valore della causa, e' tenuta a farne espressa dichiarazione e a procedere al contestuale pagamento integrativo. Le altre parti, quando modificano la domanda o propongono domanda riconvenzionale o formulano chiamata in causa o svolgono intervento autonomo, sono tenute a farne espressa dichiarazione e a procedere al contestuale pagamento di un autonomo contributo unificato, determinato in base al valore della domanda proposta (2).
3-bis. Nei processi tributari, il valore della lite, determinato ai sensi del comma 5 dell'articolo 12 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, e successive modificazioni, deve risultare da apposita dichiarazione resa dalla parte nelle conclusioni del ricorso, anche nell'ipotesi di prenotazione a debito (3).
(1) Comma così modificato dall' articolo 9-bis del D.L. 30 giugno 2005, n. 115.
(2) Comma sostituito dall'articolo 28, comma 1, lettera b), della L. 12 novembre 2011, n. 183, a decorrere dal 1° gennaio 2012, ai sensi dell'articolo 36, comma 1, della medesima L. 183/2011.

Ma qual è il regime transitorio?

Vari sono gli elementi che depongono nel senso che il novellato comma 3 dell’art. 14 vada applicato solo ai procedimenti instaurati dopo l’entrata in vigore della modifica.

1° argomento.
Il testo dell’art. 28 della L. 183/2011 prevede che solo l’ipotesi di cui al comma 1 debba essere immediatamente applicato. Il testo dell’art. 28 è il seguente:

Art. 28
1. Al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all'articolo 13, dopo il comma 1 e' inserito il seguente:
«1-bis. Il contributo di cui al comma 1 e' aumentato della meta' per i giudizi di impugnazione ed e' raddoppiato per i processi dinanzi alla Corte di cassazione»;
b) all'articolo 14, il comma 3 e' sostituito dal seguente:
«3. La parte di cui al comma 1, quando modifica la domanda o propone domanda riconvenzionale o formula chiamata in causa, cui consegue l'aumento del valore della causa, e' tenuta a farne espressa dichiarazione e a procedere al contestuale pagamento integrativo. Le altre parti, quando modificano la domanda o propongono domanda riconvenzionale o formulano chiamata in causa o svolgono intervento autonomo, sono tenute a farne espressa dichiarazione e a procedere al contestuale pagamento di un autonomo contributo unificato, determinato in base al valore della domanda proposta».
2. Il maggior gettito derivante dall'applicazione delle disposizioni di cui al presente articolo e' versato all'entrata del bilancio dello Stato, con separata contabilizzazione, per essere riassegnato, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, allo stato di previsione del Ministero della giustizia per assicurare il funzionamento degli uffici giudiziari, con particolare riferimento ai servizi informatici e con esclusione delle spese di personale. Nei rapporti finanziari con le autonomie speciali il maggior gettito costituisce riserva all'erario per un periodo di cinque anni.
3. La disposizione di cui al comma 1, lettera a), si applica anche alle controversie pendenti nelle quali il provvedimento impugnato e' stato pubblicato ovvero, nei casi in cui non sia prevista la pubblicazione, depositato successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge.

Da ciò consegue che, evidentemente, l’ipotesi di cui al comma 2 non vada applicata ai procedimenti pendenti ma solo a quelli instaurati successivamente.

2° argomento.
All’epoca dell’entrata in vigore del contributo unificato la disciplina transitoria chiariva che la nuova norma andasse applicata solo ai procedimenti instaurati successivamente all’entrata in vigore della legge. E’ evidente che nel caso di specie si discute non del contributo relativo all’introduzione della lite, ma a quello relativo ad una domanda proposta nell’ambito di un procedimento in corso.
3° argomento.
Nel dubbio occorre avere riguardo alle disposizioni di cui all'art. 11 delle preleggi, secondo cui la legge non dispone che per l'avvenire.

Omessa dichiarazione di valore e omesso versamento. Sanzioni e procedura.

Nell'ipotesi in cui manchi la dichiarazione dell'avvocato circa il valore del procedimento, la causa si presume del valore di cui allo scaglione g) del comma 1 della Tabella 1. Non vi sono, quindi le sanzioni della improcedibilità e della irricevibilità della domanda. Il cancelliere deve accettare l’atto.
Il funzionario addetto all'ufficio deve verificare la presenza della ricevuta di versamento e se l'importo risultante dalla stessa è diverso dall'importo del corrispondente scaglione, individuato sulla base della dichiarazione resa dall'avvocato. 
Il controllo effettuato dal funzionario è, dunque  un controllo meramente formale di riscontro tra l'importo pagato e quello previsto nella legge come corrispondente al valore della causa. Infatti, la legge è inequivocabile nell'attribuire la determinazione del valore - sulla base delle sopra richiamate regole del codice di procedura civile - al difensore. 
Il meccanismo di riscossione delineato consta di due fasi. 
La prima prevede l'inoltro dell'invito bonario al pagamento da parte del funzionario di cancelleria entro 30 giorni dal deposito dell'atto cui si collega il pagamento o l'integrazione del contributo dovuto, quale risulta dal raffronto tra la dichiarazione resa e il corrispondente scaglione della tabella. Le modifiche apportate dalla legge di conversione al comma 5 bis allungano il termine per l'invio dell'invito bonario al pagamento da parte del cancelliere portandolo da dieci giorni a trenta giorni e precisano che l'invito deve essere inviato alla parte nel domicilio eletto o, nel caso di mancanza di domicilio eletto, deve essere depositato presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario. Si precisa, al riguardo, che nel contesto del processo pendente il legislatore ha limitato al domicilio eletto la possibilità di notifica. Ciò si fonda sulla circostanza che nel processo la parte elegge domicilio presso il proprio difensore (articolo 84 c.p.c.). Per il caso, poi, del tutto marginale, in cui la parte stia in giudizio personalmente (perché autorizzata ex articolo 82 c.p.c.) e non ha eletto domicilio, il legislatore ha esteso il meccanismo del deposito in cancelleria, già previsto dall'articolo 58 disp. att. c.p.c.  
Per ciò che concerne la notifica dell'invito di pagamento deve ritenersi che essa rientri tra le notifiche a richiesta d'ufficio e che, quindi, debba essere effettuata mediante l'ufficiale giudiziario, ai sensi dell'art. 137 c.p.c.  
L'invito al pagamento serve solo all'adempimento spontaneo di una obbligazione ex lege che basterà menzionare nello stesso invito. 
La seconda fase, che si apre a seguito della inottemperanza all'invito di pagamento, consiste nella formazione del ruolo e, nel caso di decorso del termine per l'adempimento computato dall'avvenuta notifica, nella trasmissione del medesimo al concessionario per la riscossione. Nell'importo iscritto a ruolo sono calcolati gli interessi al saggio legale, decorrenti dal deposito dell'atto cui si collega il pagamento o l'integrazione del contributo.  
Si rammenta che, a seguito delle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 237/97 e succ. mod., il ruolo deve essere formato dall'ufficio giudiziario e trasmesso al concessionario per la riscossione. 
Relativamente alla formazione, al contenuto ed alla consegna del ruolo al concessionario, si applicano l'articolo 12 e l'articolo 24 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 e succ. mod.

I presupposti di base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo


Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è legittimo se il datore di lavoro:
- opera un riassetto organizzativo effettivo e non pretestuoso (Cass. 7 aprile 2010 n. 8237; Cass. 22 agosto 2007 n. 17887), fondato su circostanze realmente esistenti al momento della comunicazione del recesso e non riguardante circostanze future ed eventuali (Cass. 22 aprile 2000 n. 5301). Tuttavia è legittimo il licenziamento giustificato da una riorganizzazione aziendale finalizzata ad una più economica gestione dell'impresa, anche se il riassetto sopravviene nel corso o al termine del periodo di preavviso (Cass. 24 febbraio 2005 n. 3848);
- verifica la possibilità di adibire il lavoratore a mansioni equivalenti nell'ambito dell'organizzazione aziendale (c.d. obbligo di repêchage) e ne accerta l'impossibilità con riguardo all'intera struttura aziendale, anche in caso di multinazionale (Cass. 15 luglio 2010 n. 16579), e non solo alla sede presso la quale il lavoratore era impiegato (Cass. 2 ottobre 2006 n. 21282). Tale verifica si estende anche alle altre società dello stesso gruppo, qualora le relazioni all'interno di detto gruppo siano tali da dar vita ad un unico centro di imputazione dei rapporti giuridici (Cass. 16 maggio 2003 n. 7717);
- sceglie il dipendente da licenziare osservando le regole di correttezza e buona fede (art. 1175 c.c.) e non pone in essere atti discriminatori (Cass. 9 maggio 2002 n. 6667; Cass. 4 marzo 1993 n. 2595). L'atto compiuto in violazione del principio di correttezza non è invalido ma illecito e, in quanto tale, può comportare obblighi risarcitori ma non le conseguenze associate dalla legge al licenziamento invalido;
- rispetta il preavviso (o corrisponde la relativa indennità sostitutiva).

mercoledì 4 gennaio 2012

LAVORO A PROGETTO - CONTENUTI E LIMITI


Riporto di seguito il commento di A. Jazzetti ad una recente sentenza di merito del Tribunale di Prato relativa allo spinoso tema del lavoro a progetto. 
La sentenza si riferisce, nello specifico, agli operatori di call center impegnati nel telemarketing, figura professionale in grande espansione.
Buona lettura.

La specificità  del progetto, richiesta ai fini della relativa figura disciplinata dagli artt. 61-69 Dlgs 276/2003, esclude che possa ritenersi conforme alla fattispecie legale una collaborazione che si risolva nella pura e semplice attuazione dell¿oggetto dell¿impresa finendo per coincidere con essa.
Affinchè ricorra il requisito della “specificità” del progetto, idoneo ad integrare la fattispecie di cui agli artt. 61-69 Dlgs 276/2003, è necessario che l’oggetto della prestazione, pur avendo ad oggetto attività rientranti del normale ciclo produttivo dell’impresa e non essendo quindi necessariamente caratterizzato dalla straordinarietà od occasionalità, si distingua da esso, costituendo un obiettivo (progetto) od un tipo di attività (programma, fase di lavoro) che si affianca all’attività principale senza confondersi con essa, ancorché con essa coordinandosi come suo aspetto specifico o particolare o ad essa apportando un quid pluris connesso alla professionalità del collaboratore.
È quanto ha affermato il Tribunale di Prato, Giudice Barracca, con sentenza 27 ottobre 2011.
Da qui la conseguenza che “non può ritenersi realizzato il requisito della "specificità" allorquando vi sia piena coincidenza fra l'attività imprenditoriale normalmente svolta dall' impresa e il programma o progetto dedotto in contratto, ossia quando l' opera o il progetto si sostanzino nella normale attività d'impresa e soddisfino una sua esigenza ordinaria e continuativa”.
La necessità di un quid pluris apportato alla normale attività dell’impresa dall’esecuzione del progetto, connesso alla professionalità del collaboratore, esclude altresì che oggetto del contratto a progetto possano essere attività puramente esecutive o materiali, che nulla di nuovo o di diverso potrebbero apportare alla medesima attività.
Sulla scorta di tali premesse, il Tribunale ha ritenuto che non potesse ravvisarsi un contratto a progetto (ma, piuttosto, un rapporto di lavoro subordinato) nel caso di due persone addette a contattare telefonicamente clienti per pubblicizzare i prodotti dell’impresa (c.d. telemarketing), utilizzando una lista di persone fornita dall’imprenditore e secondo le indicazioni di quest’ultimo, in totale assenza di autonomia rispetto allo stesso.
Quanto poi alle conseguenze legali della mancanza di uno specifico progetto, il Tribunale ha ritenuto, in linea con gli approdi della giurisprudenza di merito, che esse consistano necessariamente nella qualificazione del rapporto come rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. “Tale conclusione, che recepisce anche le sicure finalità sanzionatorie perseguite dal legislatore (si noti la perentoria espressione :”sono considerati”), sembra l’unica sostenibile, in quanto direttamente derivante dal divieto di porre in essere collaborazioni non riferibili ad uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso; divieto che verrebbe violato ove si ammettesse la possibilità di ravvisare valide collaborazioni coordinate e continuative in attività lavorative nate senza riferimento ad un progetto specifico, e quindi al di fuori delle previsioni di legge”.
Copyright © - Riproduzione riservata
(Sentenza Tribunale PRATO 27/10/2011, n. 452)

domenica 1 gennaio 2012

TRASFERIMENTO DI AZIENDA E CONTRATTO DI AGENZIA


La recentissima sentenza che riporto in massima di seguito ribadisce l'applicabilità dell'art. 2112 c.c. ai rapporti di agenzia. Si tratta di un principio applicabile ad una casistica molto frequente che vede coinvolte figure professionali come gli agenti di commercio, gli agenti immobiliari e assicurativi, oltre che i promotori finanziari.

Autorità:  Cassazione civile  sez. lav.
Data:  06 dicembre 2011
Numero:  n. 26151
Parti:  P.A.  C.  Vandermoortele Italia S.p.A.
Fonti:  Diritto & Giustizia 2011, 14 dicembre (nota di: PAPALEO)
Per i contratti a prestazioni continuata o periodica, categoria negoziale alla quale va ricondotto anche il contratto di agenzia, l'istituto della cessione del contratto si combina con la disciplina del contratto di trasferimento di azienda, riconoscendo un'efficacia traslativa delle vicendevoli posizioni contrattuali con riferimento alle prestazioni ancora da eseguire e non più a quelle già eseguite. Diversamente, infatti, allorché si abbia un contratto di cessione di azienda, laddove in assenza di patti in deroga l'imprenditore cessionario subentra in tutti i rapporti obbligatori contratti e/o già in essere, riferibili alla sfera giuridica dell'imprenditore cedente, il cessionario dovrà rispondere anche in merito ai rapporti giuridici pregressi e quindi, ne avrà la relativa legittimazione sostanziale passiva.