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lunedì 27 febbraio 2012

CONTROLLO DELLA MAIL DEL LAVORATORE


26.02.12 - Cassazione Lavoro: controllo legittimo ex post di email del dipendente


Il Giudice di merito, pur non avendo accertato "quali siano state le concrete modalità attraverso le quali il datore di lavoro ha acquisito il testo dei messaggi di posta elettronica scambiati dal lavoratore con soggetti estranei al ristretto ambito di diffusione delle notizie delle quali egli era in possesso, poi posti alla base della contestazione disciplinare", con "incontestato accertamento di fatto, ha tuttavia affermato che il datore di lavoro ha compiuto il suo accertamento ex post, ovvero dopo l'attuazione del comportamento addossato al dipendente, quando erano emrsi elementi di fatto tali da raccomandare l'avvio di un'indagine retrospettiva".

E' questo il punto cardine della motivazione con cui la Cassazione ha cassato il ricorso del dipendente licenziato, confermando così la pronuncia di secondo grado, che a propria volta aveva confermato quella di primo.

Per la cronaca, il dipendente di un istituto bancario, poi licenziato, aveva divulgato con messaggi elettronici diretti ad estranei notizie riservate concernenti un cliente dell'istituto e aveva effettuato operazioni finanziarie da cui aveva tratto vantaggio personale.

Secondo la Cassazione "tale fattispecie è estranea al campo di applicazione dell'articolo 4 dello statuto dei lavoratori. Nel caso di specie, infatti, il datore di lavoro ha posto in essere una attività di cotnrollo sulle strutture informatiche aziendali che prescindeva dalla pura e semplice sorveglianza sull'esecuzione della rpestazione lavoativa degli addetti ed era, invece, diretta ad accertare la perpetuazione di eventuali comportamenti illeciti (poi effettivamente riscontrati) dagli stessi posti in essere. Il c.d. controllo difensivo, in altre parole, non riguardava l'esatto adempimento delle obbligazioni discendnti dal rapporto di lavoro, ma era destinato ad accertare un comportamento che poneva in pericolo la stessa immagine dell'istituto bancario presso terzi.

In questo caso entrava in gioco il diritto del datore di lavoro di tutelare il proprio patrimonio, che era costituito non solo dal complesso dei beni aziendali, ma anche dalla propria immagine esterna, così come accreditata presso il pubblico. Questa forma di tutela egli poteva giuridicamente esercitare con gli strumenti derivanti dall'esercizio dei poteri derivanti dalla sua supremazia sulla struttura aziendale.

Tale situazione, ad una lettura attenta, è già esclusa dal campo di applicazione dell'articolo 4 Statuto dei lavoratori dalla giurisprudenza della Corte (che già esclude dai controlli difensivi vietati quelli aventi ad oggetto la tutela di beni estranei al rapporto di lavoro, Cassazione Lavoro 15892/2007)".

(Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sentenza 23 febbraio 2012, n.2722)

mercoledì 22 febbraio 2012

LICENZIAMENTO COLLETTIVO NEL SINGOLO CANTIERE

La Corte di Cassazione, con Sentenza n. 2429 del 20 febbraio 2012, ha chiarito che deve essere considerata legittima la scelta del datore di lavoro di ricorrere alla procedura di mobilità in un singolo centro operativo e non nel complesso aziendale. Nello specifico la Suprema Corte sottolinea che la legittimità del ricorso alla procedura di mobilità non è legata al fatto che la stessa interessi l’intero complesso aziendale con tutte le sue delocalizzazioni. In tal senso ben può accadere che detta procedura interessi esclusivamente una sede decentra. Il fondamentale requisito legale che va sempre e comunque rispettato, è rappresentato dalla presenza delle esigenze tecnico produttive. 

lunedì 20 febbraio 2012

OMESSO VERSAMENTO CONTRIBUTI - IL TERMINE DI PRESCRIZIONE PER IL LAVORATORE


In materia di contributi di previdenza e assistenza obbligatoria, la prescrizione decorre dal momento in cui il diritto può essere fatto valere dal lavoratore ossia da quando fu, o avrebbe dovuto essergli, corrisposto il compenso, senza che la pendenza di una controversia giudiziaria su uno dei fatti costituiti dal diritto sia idonea ad influire sul decoro della prescrizione , giacché essa non preclude l'esercizio immediato del diritto ma rappresenta un mero impedimento di fatto.
A norma dell'art. 3, comma 9, l. 8 agosto 1995 n. 335, i termini di prescrizione relativi alle contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria, fissati in cinque o dieci anni (a seconda del tempo, anteriore o successivo al 1° gennaio 1996, in cui si è svolto il rapporto assicurativo), alla scadenza dei quali i contributi non possono essere più versati all'ente previdenziale, iniziano a decorrere ex art. 2935 c.c. da quando il diritto può essere fatto valere dal lavoratore, ossia da quando fu, o avrebbe dovuto essergli corrisposto il compenso, potendo l'incertezza circa la sussistenza del diritto e, più precisamente, circa la controversia giudiziaria su uno dei fatti costitutivi, rappresentare un mero impedimento di fatto inidoneo ad influire sul decorso della prescrizione , giacché essa non preclude l'esercizio immediato dello stesso diritto.

Autorità:  Cassazione civile  sez. lav.
Data:  20 ottobre 2011
Numero:  n. 21821
Parti:  Bica  C.  Ass. reg. sanità e altro
Fonti:  Red. Giust. civ. Mass. 2011, 10

sabato 18 febbraio 2012

CONTRIBUTO UNIFICATO PER DOMANDE RICONVENZIONALI E CHIAMATE IN CAUSA DAL 1° GENNAIO 20012 - GLI ORIENTAMENTI DEI TRIBUNALI CAMPANI


Come già a suo tempo chiarito in un precedente post del 6.1.12, l'articolo 28 della Legge di Stabilità (n. 183/2011), è intervenuto sull'articolo 14 del TUGS (D.lgs 115/2002), prevedendo un’integrazione del contributo, per chi abbia iniziato la causa e poi modificato la domanda, ovvero per chi proponga una domanda riconvenzionale o chiamato terzi in causa. Il contributo sarà, invece, dovuto per l’intero (C.U. autonomo), in base al valore della domanda, dalle parti che modifichino la domanda o propongano domanda riconvenzionale o formulino chiamata in causa di un terzo o svolgano intervento autonomo. 
Se il terzo chiamato modifica la domanda, propone riconvenzionale o chiama altri in causa, anche lui dovrà pagare un contributo autonomo calcolato sul valore della domanda. 
Tutto ciò a partire dal 1° gennaio 2012.

Nel precedente post, al quale si fa rimando, venivano affrontati gli aspetti relativi al regime transitorio applicabile. Più precisamente ci si interrogava sull'applicabilità dell'obbligo contributivo per intero anche riguardo a riconvenzionali o richieste di chiamata in causa formulate nell'ambito di procedimenti iscritti (dalla controparte) a ruolo prima del 01.01.2012.

La risposta era negativa per tre ordini di ragioni, esplicitate nel detto post: il contributo in tali casi non è dovuto.

Il Tribunale di Napoli in sede di invito bonario che allego afferma: 

"le domande presentate dal 6.7.2011 al 31.12.2011 pagano la differenza di contributo unificato sul valore; quelle depositate dopo il 2.1.2012 per tutte le cause pendenti pagano il c.u. intero sul valore dichiarato".

In altri termini, afferma la sezione lavoro del Tribunale di Napoli, non solo sono assoggettate a contributo intero le riconvenzionali e le chiamate in cause depositate dopo il 2.1.2012 (non comprendiamo perchè dopo il 2 gennaio e non dopo il 1° gennaio), ma quelle presentate dopo il 6.7.2011, pur se solo per differenza tra quanto dichiarato e pagato dalla parte attrice o ricorrente e la parte che propone la nuova istanza.

La posizione è corretta, per le controversie di lavoro, in ordine alla pretesa tassabilità per differenza delle istanze proposte tra il 6.7.211ed il 31.12.2011 (non 01.01.2012), ciò in quanto il comma 1-bis dell'art. 9 del T.U. (che ha introdotto l'obbligo di pagamento del contributo anche per le controversie di lavoro) è stato inserito dal D.L. 6.7.2011 n. 98. 
Da tale data (se non vi è esenzione) il regime delle controversie di lavoro è identico a quelle ordinarie.

Erronea, pur se con qualche legittimo dubbio, è la posizione assunta con riguardo alle domande (riconvenzionali o chiamate in causa) proposte dopo il 01.01.2012, ciò per i motivi esposti nel già citato post e che si fondano su di una interpretazione letterale della novella, oltre che su di un'applicazione dei principi cardine di ermeneutica giuridica.

Non si può non evidenziare come il Tribunale di Napoli, tuttavia, non conceda correttamente il termine di legge per l'adempimento spontaneo,come previsto dall'art. 248 del T.U. che recita:

DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 30 maggio 2002, n. 115 (in Suppl. ordinario n. 126 alla Gazz. Uff., 15 giugno, n. 139). - Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (T.U. SPESE DI GIUSTIZIA)(Testo A).

ARTICOLO  248
(R) Invito al pagamento.
1. Nei casi di cui all' articolo 16 , entro trenta giorni dal deposito dell'atto cui si collega il pagamento o l'integrazione del contributo, l'ufficio notifica alla parte, ai sensi dell' articolo 137 del codice di procedura civile , l'invito al pagamento dell'importo dovuto, quale risulta dal raffronto tra il valore della causa ed il corrispondente scaglione dell' articolo 13 , con espressa avvertenza che si procedera' ad iscrizione a ruolo, con addebito degli interessi al saggio legale, in caso di mancato pagamento entro un mese (1).
2. L'invito è notificato alla parte nel domicilio eletto o, nel caso di mancata elezione di domicilio, e depositato presso l'ufficio.
3. Nell'invito sono indicati il termine e le modalità per il pagamento ed è richiesto al debitore di depositare la ricevuta di versamento entro dieci giorni dall'avvenuto pagamento.
(1) Comma così sostituito dall' articolo 9-bis del D.L. 30 giugno 2005, n. 115.

Nell'invito bonario allegato, visibile a questo link:
1) manca del tutto il termine, sostituito dalla indeterminata locuzione: nel più breve tempo possibile;
2) vengono ridotte le modalità di pagamento solo alle "marche" (sic!) senza considerare che il T.U. prevede altre modalità di pagamento (F23, ad esempio):
3) vengono richieste certificazioni che sarebbero del tutto inutili nell'ipotesi di pagamento, essendo evidente che se si paga non si usufruisce dell'esenzione e, quindi, non si è tenuti ad alcuna dichiarazione circa il proprio reddito.


  

ISPEZIONI IN AZIENDA: INTESA SUI DOCUMENTI NON RICHIEDIBILI AL CONSULENTE


Il Ministero del Lavoro e il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro hanno firmato un protocollo per la semplificazione dei tempi di verifica e di riscontro della documentazione nelle ispezioni sul lavoro. Gli ispettori del lavoro non richiederanno più i documenti che sono già nella loro disponibilità in quanto presenti in banche dati a disposizione del Ministero del Lavoro.
Questo è quanto è stato deciso dal Ministero del Lavoro e dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro che in data 15.2.2012 hanno firmato un Protocollo d’intesa finalizzato a semplificare i tempi di verifica e di riscontro della documentazione nelle ispezioni sul lavoro.
Il personale ispettivo potrà richiedere al professionista la documentazione solo nei casi in cui sia materialmente impossibile l’accesso ai documenti tramite banche dati.
Sono escluse dal protocollo le attività ispettive eseguite nell’esercizio delle specifiche funzioni di polizia giudiziaria ove sia indispensabile la materiale acquisizione della documentazione trasmessa dal professionista.
L’elenco dei documenti in questione è riportato nell’allegato al protocollo, ne costituisce parte integrante, è potrà essere integrato in futuro con successivi accordi.
I documenti elencati nell’allegato sono i seguenti:
- le comunicazioni obbligatorie telematiche di instaurazione del rapporto di lavoro (Unilav, Uniurg), fatta eccezione per i lavoratori domestici;
- i prospetti informativi collocamento obbligatorio legge n. 68/1999;
- le denunce INAIL ex art. 12 del DPR n. 1124/1965;
- l’attribuzione della matricola INPS;
- le denunce aziendali e dichiarazioni trimestrali della mano d’opera occupata in agricoltura;
- il DURC;
- il certificato d’iscrizione CCIAA;
- il modd. Unico; 750; 760; 770/SA-SC;
- le informazioni relative ai modelli UNIEMENS dal 2010 in poi consultabili da Net-INPS;
- gli importi complessivamente versati tramite mod. F24;
- le informazioni relative ai modelli DM10 concernenti il personale dipendente, fatta eccezione per i dati relativi alle ultime 3 mensilità.

sabato 11 febbraio 2012

E' POSSIBILE PER IL LAVORATORE L'INSINUAZIONE TARDIVA AL FALLIMENTO ANCHE IN CASO DI PRECEDENTE AMMISSIONE SU ISTANZA TEMPESTIVA

Il lavoratore può insinuarsi tardivamente nel passivo dell’impresa-datrice di lavoro, per crediti lavorativi relativi a ulteriori mensilità, anche se è già stato ammesso al passivo tempestivamente per crediti relativi a vecchie mensilità e altre voci, quali il Tfr: tra le due pretese fatte valere in tempi diversi, infatti, non c’è identità di causa petendi e petitum. Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 26761 del 13 dicembre scorso.
La fattispecie. Un lavoratore proponeva opposizione allo stato passivo dell’impresa datrice di lavoro in fallimento, ma il Tribunale dichiarava inammissibile la sua domanda di insinuazione tardiva al passivo per le ultime tre mensilità. La decisione veniva confermata dalla Corte d’appello e il lavoratore proponeva ricorso per cassazione.
Il presupposto dell’insinuazione tardiva è una pretesa diversa da quella già fatta valere. I giudici di merito hanno rigettato la domanda tardiva di ammissione al passivo in quanto il lavoratore si era già insinuato tempestivamente ed era stato ammesso per altre mensilità non corrisposte e per altre voci di credito, tra cui il Tfr. Mancherebbe, quindi, il requisito fondamentale della diversità di causa petendi petitum tra i crediti fatti valere al momento dell’insinuazione tardiva, rispetto a quelli già proposti e ammessi al passivo.
C’è novità della domanda se si richiede l’ammissione di crediti di lavoro ulteriori. Nel caso di specie, tuttavia, il carattere della novità della domanda sussiste e, secondo la S.C., il ricorso del lavoratore merita di essere accolto. In base alla giurisprudenza di legittimità, infatti, nell’ambito dello stesso rapporto di lavoro costituiscono crediti diversi quelli attinenti alle varie voci (Tr, mensilità aggiuntive, differenze retributive etc), poiché differiscono «gli elementi costitutivi dei singoli crediti», e non c’è, quindi, alcuna preclusione all’azionabilità di alcune di esse in via tardiva pur a fronte della proposizione di domanda tempestiva per altre.
Anche il credito relativo a mensilità ulteriori costituisce domanda nuova, azionabile in via tardiva. La S.C., nell’affrontare la vicenda in esame, estende la conclusione che precede anche all’ipotesi di domande diverse relative alla stessa voce di credito (per mensilità ulteriori). «Posto che la causa petendi si identifica con i fatti costituitivi del diritto azionato», essa non coincide sic et simpliciter con il rapporto di lavoro, bensì con i fatti rilevanti che nello svolgimento dello stesso si succedono: pertanto, i fatti costitutivi del diritto alla retribuzione per un determinato periodo sono diversi da quelli relativi ad un diverso ed ulteriore periodo. Non c’è identità di causa petendi e petitum tra la pretesa azionata tempestivamente relativa a retribuzioni per un determinato segmento temporale, e quella azionata tardivamente attinente ad altro segmento: non c’è, dunque, alcuna preclusione alla richiesta in tempi diversi, nell’ambito del rito fallimentare. 
(da D&G)

sabato 4 febbraio 2012

Se il datore di lavoro costringe i dipendenti ad accettare condizioni di lavoro svantaggiose è estorsione

A deciderlo è stata un recente sentenza della Cassazione (n. 4290 del 1 febbraio 2012) con cui i giudici di legittimità hanno ravvisato gli estremi del reato nella condotta di chi, con minacce, ottiene che i dipendenti lavorino per lui sottopagati, tutelandosi, contestualmente, dalle eventuali azioni civilistiche dei lavoratori tese ad ottenere quanto loro dovuto.
Più nello specifico, l’elemento oggettivo della minaccia necessario per integrare il reato di estorsione è dato dal pagamento inferiore a quello contrattuale, unitamente alle modalità di corresponsione del salario (infatti, o il lavoratore accettava di essere sottopagato e di firmare una quietanza per una somma superiore della quale, poi, doveva restituire la differenza, pena la mancata assunzione), e l’elemento dell’ingiusto profitto era dato proprio dall’ottenimento, a vantaggio del datore, di una forza lavoro ad un costo inferiore a quello previsto dai contratti collettivi.
Ad avviso della Corte «integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che, approfittando della situazione di mercato di lavoro a lui favorevole per la prevalenza dell’offerta sulla domanda, costringa i lavoratori, con la minaccia di licenziamento, ad accettare la corresponsione di trattamenti retributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate, e più in generale condizioni di lavoro contrarie 
alle leggi e ai contratti collettivi».

ABROGAZIONE TARIFFE FORENSI: QUESTIONE DI ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE


l Tribunale di Cosenza, con l‘ordinanza 1 febbraio 2012 emanata all’interno del procedimento n. 5299/20111, ha sollevato la questione di legittimità costiruzionale davanti alla Corte Costituzionale nei confronti dell’articolo 9, commi 1 e 2 del decreto legge “liberalizzioni” n.1/2012, inerente all’abolizione delle tariffe forensi.
I dubbi manifestati dal giudica a quo consisterebbero nella circostanza che l’abrogazione del decreto ministeriale con i compensi per gli avvocati ha creato una sorta di vuoto normativo, non colmabile neanche con una pronuncia di equità da parte del giudice. Quest’ultima infatti provocherebbe una discriminazioni tra i cittadini, oltre che limitare il diritto di difesa sancito dall’art. 24 della Costituzione.
Nel caso di specie, il giudice del Tribunale di Cosenza, accogliendo un provvedimento di urgenza, si accingeva a liquidare le spese a favore della parte vincitrice. E lì è sorto il ragionevole dubbio. Infatti mentre prima del decreto liberalizzazioni n. 1 del 2012 era possibile ricorrere alle tariffe forense, adesso questa possibilità viene meno. Lo stesso decreto liberalizzazioni stabilisce tuttavia che i giudici, nel liquidare le spese, potranno fare riferimento a determinati criteri stabiliti con decreto ministeriale, decreto che ovviamente ancora manca. Come procedere, dunque, al momento, nel caso di liquidazione giudiziale dei compensi o nel caso di autoliquidazione dei compensi nei precetti?
Il giudice, non ravvisando riferimenti normativi utilizzabili, ha così mandato tutto alla corte costituzionale, reputando come le nuove previsioni si pongano in contrasto con il principio costituzionale dellaragionevolezza della legge, nella parte in cui non prevedono la disciplina transitoria limitata al periodo intercorrente tra l’entrata in vigore della norme e l’adozione da parte del ministro competente dei nuovi parametri. Parimenti, è stato denunciato il contrasto delle nuove norme con riferimento all’articolo 24 della Costituzione che prevede il diritto di agire e resistere in giudizio; secondo i giudici calabresi, verrebbe infatti reso incerto l’onere delle spese procedimentali con violazione, altresì, del principio di uguaglianza in quanto verrebbe attribuita al giudice, obbligatoriamente tenuto a liquidare gli onorari di difesa, una facoltà del tutto discrezionale.
(da Italia Oggi)