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lunedì 28 gennaio 2013

Tribunale di Torre Annunziata: la decadenza dall'impugnativa delle risoluzioni

Allego sentenza pronunciata dal GdL dott.ssa Basso del Tribunale di Torre Annunziata che interviene su aspetti di indubbia rilevanza pratica inerenti l'impugnativa delle risoluzioni ed il correlato regime decadenziale introdotto dal Collegato lavoro 2010.
Il Tribunale ritiene che anche successivamente all'entrata in vigore del Collegato lavoro e della riforma della L. n. 604/1966, le impugnative dei licenziamenti orali non siano soggette a termini decadenziali.
Precisa che l'eccezione di decadenza dall'impugnativa genericamente formulata, non è estensibile automaticamente all’impugnativa dei contratti a termine, perché trattasi di eccezione in senso proprio che non può rilevarsi d’ufficio. 
Affronta, in maniera argomentata, il tema dell'applicabilità all'impugnativa dei contratti a termine del c.d. milleproroghe anche con riguardo ai contratti già giunti a scadenza al momento dell'entrata in vigore della L. n. 183 del 2010.

Occorre ricordare, in aggiunta, che il comma 37 dell'art. 1 l. n. 92 del 2012, dispone che il comma 2 dell'art. 2 l. 15 luglio 1966, n. 604, sia sostituito dal seguente: «2. La comunicazione del licenziamento deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato».
Aggiungiamo che a decorrere dall'entrata in vigore della L. 92/2012, per una voluta evidente ragione di certezza e celerità nella definizione dei rapporti negoziali, la motivazione formale del licenziamento deve essere sempre contestuale all'atto.
La norma impone il superamento dell'onere di giustificazione sostanziale del licenziamento, di natura eventuale, condizionato all'altrui contestazione o richiesta, e l'affermazione di un obbligo di motivazione formale, contestuale all'atto stesso.
Dunque il dies a quo della decadenza dovrà ritenersi ora coincidente con la contestuale esternazione della volontà risolutoria accompagnata dalla enunciazione dei motivi.

Le pagine più interessanti della sentenza sono a pagina 11 e seguenti.
La sentenza a questo link.

giovedì 24 gennaio 2013

ESENZIONE DAL CONTRIBUTO UNIFICATO E STATUTO DEI LAVORATORI: CIRC. MINISTERIALE 1 DEL 2013

In allegato, a questo link, la circolare ministeriale 1/13. La circolare affronta due diversi aspetti correlati all'esenzione dal pagamento del contributo unificato.
Il primo afferisce alle controversie introdotte dall'INAIL, in relazione alle quali si valuta la persistenza dell'esenzione "soggettiva", cioè prevista in favore dell'Istituto, dal DPR 1126/1965. Il Ministero ritiene che l'esenzione prevista nel 1965, sia confluita nell'esenzione generalizzata prevista dalla L. n. 533/1973, seguendone poi le sorti in occasione dell'introduzione del contributo prevista nel luglio del 2011.
Ma l'aspetto più interessante della circolare risiede nella seconda parte, laddove il Ministero, sulla scorta della previsione dell'art. 41 della L. 300/70 (SdL), afferma, sostanzialmente, che le controversie ex art. 28 SdL (repressione della condotta sindacale), alla stregua di tutte le ulteriori azioni che trovano il loro fondamento nello Statuto, godono dell'esenzione fiscale, su cui non ha inciso la L. n. 533/1973 (il cui ambito è stato limitato all'aspetto procedurale).
Ma seguendo questo ragionamento, è allora evidente che anche le azioni ex art. 18 SdL, cioè le azione volte a tutelare il lavoratore da licenziamenti illegittimi, dovrebbero godere di tale esenzione! 
Il Ministero tace del tutto su questo inevitabile corollario.

domenica 20 gennaio 2013

Min.Lavoro: chiarimenti sulla procedura obbligatoria di conciliazione in caso di licenziamento per motivi economici




Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con la circolare n. 3 del 16 gennaio 2013, ha fornito i primi chiarimenti operativi circa la procedura obbligatoria di conciliazione per i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, prevista dall'art. 7 della Legge n. 604/1966, come riformulato dalla Legge n. 92/2012 (c.d. Riforma del Lavoro).
La circolare contiene le modalità procedurali in capo alle DTL ed alle parti (datore di lavoro e lavoratore), in merito ai tempi, alle fasi previste ed alle modalità di soluzione della controversia, anche non espulsive.
Interessante osservare che la circolare prevede la possibilità di definire anche le eventuali controversie differenziali (differenze di retribuzione o altre controversie legate al rapporto di lavoro) in sede di conciliazione obbligatoria ex art. 7 L. 604/1966, ribadendo l'inoppugnabilità del relativo ed eventuale accordo su tali profili economici.
Inoltre la circolare chiarisce che le comunicazioni alla PDL possono avvenire anche a mezzo PEC, anche se la norma fa riferimento solo alla raccomandata per l'attivazione della procedura.

domenica 13 gennaio 2013

Pagamento di acconti di stipendi ed omissioni contributive


Con sentenza n. 42919 del 7 novembre 2012, la terza sezione penale della Cassazione ha affermato che il delitto di omesso versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali ex art. 2, comma 1-bis, della legge n. 638/1981, sussiste, anche nell’ipotesi in cui il datore di lavoro abbia corrisposto soltanto acconti sulle retribuzioni spettanti ai dipendenti.

sabato 12 gennaio 2013

Diffida accertativa: i chiarimenti del Ministero del Lavoro


Il Ministero del Lavoro chiarisce che la diffida accertativa per crediti patrimoniali va inserita nel verbale unico di accertamento anche per le somme accertate e dovute ai lavoratori “in nero”, mentre, in caso di riqualificazione di un rapporto di lavoro la diffida accertativa non va adottata stante la necessità da parte dell’organo ispettivo di procedere ad una diversa qualificazione rispetto a quella negoziale data dalle parti del rapporto, qualificazione che, spetta in via definitiva al giudice e che presenta delicati profili di valutazione.


venerdì 11 gennaio 2013

I LICENZIAMENTI CONDIZIONATI - LE CONDIZIONI FISSATE DALLA SUPREMA CORTE

La Corte affronta il tema dei licenziamenti cc.dd. "condizionati" concludendo per la loro liceità purchè venga formulata la riserva della condizione sospensiva e purchè il secondo licenziamento sia fondato su ragioni non conosciute all'atto della prima risoluzione e diverse da quelle su cui era stata fondata la prima risoluzione.
Le specificazioni operate sono illogiche se riferite all'ipotesi ordinaria in cui il licenziamento viene supportato da una serie di motivazioni poste in via subordinata l'una rispetto all'altra (a catena). E' infatti evidente che in tal caso il datore di lavoro sia già a conoscenza delle motivazioni addotte a sostegno della subordinata ipotesi risolutiva. Ciò conduce e ritenere che, diversamente dalla premessa operata, la Corte ritenga illegittima la motivazione "multipla e a catena" di tipo contestuale (ipotesi graduate), essendo così da ritenersi potenzialmente valide solo le risoluzioni operate separatamente ed in un secondo momento.



(Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 106/13; depositata il 4 gennaio)


Sostiene la società ricorrente che, una volta accertata la illegittimità del primo licenziamento (individuale) intimato in regime di tutela reale, i giudici di merito non potevano astenersi dal valutare anche la legittimità del secondo licenziamento (collettivo), intimato espressamente come condizionato, nella sua efficacia, all’eventuale illegittimità del primo licenziamento.
La Corte d’appello infatti ha ritenuto (sulla scorta di un orientamento giurisprudenziale di questa Corte) inefficace il licenziamento collettivo perché - a suo dire - non può risolversi un rapporto già risolto in ragione dell’efficacia del licenziamento individuale.
In proposito deve considerarsi che inizialmente questa Corte (Cass., sez. lav., 18 maggio 2005, n. 10394: 9 marzo 2006. n. 5125) ha affermato che il licenziamento intimato, nell’ambito della tutela reale, per giusta causa o per giustificato motivo è efficace finché non intervenga sentenza di annullamento ex art. 18 della legge n. 300 del 1970; ne consegue che un secondo licenziamento, intimato prima dell’annullamento. è privo di oggetto, attesa l’insussistenza del rapporto di lavoro.
Successivamente però questa Corte si è diversamente orientata. Infatti Cass., sez. lav., 6 marzo 2008. n. 6055, ponendosi in critico confronto con l’orientamento precedente, ha affermato che “la continuità e la permanenza del rapporto giustifica l’irrogazione di un secondo licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, ove basato su una nuova e diversa ragione giustificatrice, dal quale solamente, in mancanza di tempestiva impugnazione, deriverà l’effetto estintivo del rapporto”. Ciò perché, nell’area della c.d. tutela reale, il primo licenziamento, in quanto illegittimo, “non è idoneo ad estinguere il rapporto al momento in cui è stato intimato determinando unicamente una sospensione della prestazione dedotta nel sinallagma a causa del ritenuto del datore di ricevere la prestazione stessa, sino a quando, a seguito del provvedimento di reintegrazione del giudice, non venga ripristinata la situazione materiale antecedente al licenziamento".
Conformemente a tale pronuncia Cass., sez. lav., 20 gennaio 2011, n. 1244. ha ribadito che il datore di lavoro, qualora abbia già intimato al lavoratore il licenziamento per una determinata causa o motivo, può legittimamente intimargli un secondo licenziamento, fondato su una diversa causa o motivo, restando quest’ultimo del tutto autonomo e distinto rispetto al primo; sicché entrambi gli atti di recesso sono in sé astrattamente idonei a raggiungere lo scopo della risoluzione del rapporto, dovendosi ritenere il secondo licenziamento produttivo di effetti solo nel caso in cui venga riconosciuto invalido o inefficace il precedente.
Questo ulteriore sviluppo della giurisprudenza di questa Corte - al quale può qui darsi continuità - induce pero a qualche puntualizzazione.
Una volta che il datore di lavoro ha intimato il licenziamento comunicando il suo recesso dal rapporto, questo deve considerarsi risolto fino a quando, ove si verta in regime di tutela reale, non intervenga una pronuncia di reintegrazione nel posto di lavoro ex art. 18 della legge n. 300 del 1970. Non di meno, secondo il più recente orientamento giurisprudenziale sopra richiamato, è possibile nel regime della tutela reale che dopo un primo licenziamento individuale sia intimato un secondo licenziamento, parimenti individuale, per un diverso motivo condizionato, nell’efficacia, alla (eventuale) dichiarazione di illegittimità del primo.
Però, oltre all’espressa condizione sospensiva dell’efficacia del secondo recesso, occorre che si tratti di un motivo non solo diverso da quello che posto a fondamento del primo licenziamento, ma anche sopravvenuto, nel senso di non noto in precedenza al datore di lavoro, il quale, tenuto a comunicare i motivi del licenziamento a seguito dell’interpello (ex art. 2 l. n. 604 del 1966) del lavoratore licenziato, se indica a fondamento del recesso una specifica ragione giustificatrice, rinuncia implicitamente a far valere altre ragioni giustificatrici a lui note che parimenti potrebbero, in astratto, esser posi e a fondamento del recesso e non può successivamente intimare un secondo licenziamento fondato su una di tali diverse ragioni, ove anche con efficacia sospensivamente condizionata alla declaratoria di illegittimità del primo licenziamento. Sicché, ad es., nel caso di plurime inadempienze dei lavoratore il datore di lavoro non può allegarne una a giustificazione del licenziamento disciplinare per poi procedere, con contestazioni a catena, ad intimare ulteriori licenziamenti, pur condizionati nell’efficacia in modo sequenziale, fondandoli su altri addebiti già noti in precedenza (cfr.,mutatis mutandis, la giurisprudenza costituzionale che ha stigmatizzato il possibile uso distorto delle contestazioni a catena nel processo penale al fine del rispetto dei termini di custodia cautelare: C. cost. n. 408 del 2005).
Inoltre in ogni caso, dopo un primo licenziamento individuale, il secondo licenziamento non può essere collettivo (né può consistere nel collocamento in mobilità) perché quest’ultimo è ex lege procedimentalizzato in termini tali da non consentire che ci sia un lavoratore licenziato sub condicione. In particolare la necessaria comparazione delle situazioni dei lavoratori destinatari del licenziamento collettivo è ontologicamente incompatibile con la (seppur in ipotesi temporanea) inefficacia sospensivamente condizionata del recesso di uno di essi.
Nella specie il secondo licenziamento è di natura collettiva rispetto al primo recesso individuale (a carattere disciplinare) ed inoltre si fonda su un presupposto (esubero di personale) già noto e sussistente al tempo del primo licenziamento. Quindi correttamente la Corte d’appello ha ritenuto tamquam non esset tale secondo licenziamento di natura collettiva.

LAVORO OLTRE IL SETTIMO GIORNO


Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 4 dicembre 2012 - 7 gennaio 2013, n. 142
Per la mancata concessione del riposo settimanale va riconosciuto non il c.d. danno biologico, ma un indennizzo correlato al danno da usura psico-fisica “che, secondo costante giurisprudenza di questa Corte, deve reputarsi presunto (per tutte V. Cass. 20 agosto 2004 n.16398) e per il quale vale la regola generale della prescrizione nel termine ordinario (decennale) (Cass. 24 dicembre 1997 n. 13039 e Cass. 7 marzo 2002 n. 3298)”.
“I benefici contrattuali (indennità di turno, disagio e reperibilità) … non sono inerenti alla mancata concessione del riposo essendo diretti, piuttosto, a compensare altri disagi”.

IL FRAZIONAMENTO DELLA GIURISDIZIONE IN TEMA DI PUBBLICO IMPIEGO E' IPOTESI ECCEZIONALE


Le Sezioni Unite chiariscono un principio molto mal digerito dai Tribunali di merito che ancora declinano la giurisdizione con riferimento ai "fatti" ante 30/6/1998 (ad ultimo, ad esempio, Trib.le Torre Annunziata n. 2637/2012 in tema di esercizio continuato di mansioni superiori).
Riportiamo fedelmente lo stralcio di interesse.



Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 4 dicembre 2012 - 7 gennaio 2013, n. 142

È oramai consolidato il principio secondo il quale in tema di pubblico impiego contrattualizzato, la sopravvivenza della giurisdizione del giudice amministrativo, regolata dall'art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001, costituisce, nelle intenzioni de] legislatore, ipotesi assolutamente eccezionale, sicché, per evitare il frazionamento della tutela giurisdizionale, quando il lavoratore deduce un inadempimento unitario dell'amministrazione, la protrazione della fattispecie oltre il discrimine temporale del 30 giugno 1998 radica la giurisdizione presso il giudice ordinario anche per il periodo anteriore a tale data, non essendo ammissibile che sul medesimo rapporto abbiano a pronunciarsi, due giudici diversi, con possibilità di differenti risposte ad una stessa istanza di giustizia (per tutte Cass. S.U. 1 marzo 2012 n. 3183, Cass. S.U. 19 aprile 2012 n. 6102 e Cass. S.U.29 maggio 2012 n. 8520).
In conclusione, il ricorso principale va rigettato, mentre va accolto il ricorso incidentale con dichiarazione della giurisdizione del giudice ordinario anche per il periodo anteriore al 30 giugno 1998. La sentenza impugnata va, pertanto, cassata in relazione a tale ultimo ricorso, con rinvio alla Corte d'appello di Torino (in diversa composizione), in ragione del fatto che i giudici di primo e secondo grado hanno conosciuto per la parte relativa al periodo successivo al 30 giugno 1998 anche nel merito della domanda, con sostanziale effetto sul periodo anteriore si che viene meno il presupposto per l'applicazione dell'art. 353 cpc, comma 1, (Cass. S.U. aprile 2012 n. 6102 cit.) Lo stesso giudice di rinvio pronuncerà altresì sulle spese del giudizio di cassazione.

Disciplina in materia di prescrizione dei contributi previdenziali Cassa Forense


L’art. 66 della Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense, prevede che la disciplina in materia di prescrizione dei contributi previdenziali, di cui all’art. 3 della legge 8 agosto 1995, n. 335 non si applica alle contribuzioni dovute alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense.
L’art. 3 della legge n. 335/1995, ai commi 9 e 10 disciplina la prescrizione delle contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria.
Il comma 9 prevede che le contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria si prescrivono e non possono essere versate nei termini di:
- 10 anni per le contribuzioni di pertinenza del Fondo pensioni lavoratori dipendenti (FPLD) e delle altre gestioni pensionistiche obbligatorie – compreso il contribuito di solidarietà del 10%, a esclusivo carico dei datori di lavoro, dovuto per gli accantonamenti o versamenti effettuati a favore di forme pensionistiche complementari da parte dei datori di lavoro, ed esclusa ogni aliquota di contribuzione aggiuntiva non devoluta alle gestioni pensionistiche. Si consideri però che a decorrere dal 1° gennaio 1996 tale termine è ridotto a cinque anni, salvi i casi di denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti (lett. a);
- 5 anni per tutte le altre contribuzioni previdenziali e assistenziali obbligatorie (lett. b).
Il successivo comma 10 prevede che i termini di prescrizione sopra esposti si applicano anche alle contribuzioni relative a periodi precedenti la data di entrata in vigore della legge n. 335. Fanno eccezione i casi di atti interruttivi già compiuti o di procedure iniziate nel rispetto della normativa preesistente.
Agli effetti del computo dei termini prescrizionali non si tiene conto della sospensione prevista dall’art. 2, comma 19, del D.L. 463/1983, fatti salvi gli atti interruttivi compiuti e le procedure in corso.

L'art. 19 della legge 20 settembre 1980, n. 576, recante la disciplina della prescrizione dei contributi, dei relativi accessori e dei crediti conseguenti a sanzioni dovuti in favore della Cassa nazionale forense, individua un distinto regime prescrizionale a seconda che la comunicazione da parte dell'obbligato, in relazione alla dichiarazione di cui agli artt. 17 e 23 della stessa legge, sia stata omessa o resa in modo non conforme al vero, riferendosi solo al primo caso l'ipotesi di esclusione del decorso del termine prescrizionale decennale, mentre, in ordine alla seconda ipotesi, il decorso del termine è riconducibile al momento della data di trasmissione della dichiarazione alla Cassa.

LEGGE STABILITA’ 2013 E CONTRIBUTO UNIFICATO

La legge di Stabilità per il 2013 (legge 24 dicembre 2012, n. 228) prevede ulteriori aggravamenti in tema di contributo unificato. 

1) Sanzione per il rigetto delle impugnazioni. 

E’ stato inserito il comma 1-quater all’art. 13 del d.P.R. 115/2002 (T.U. Spese Giustizia) in base al quale: «quando l'impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l'ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis». La norma sarà applicabile ai procedimenti (d’impugnazione) introdotti a partire dal 31 gennaio 2013 (comma 18). 
Il giudice deve dare atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti per l’applicazione della sanzione processuale. 
L'obbligo di pagamento sorge al momento del deposito del provvedimento conclusivo. 
La disposizione fa il paio con altre due recenti novità in materia di impugnazioni e che mirano anch’esse alla selezione delle impugnazioni: da un lato, la riforma del giudizio di appello con l’introduzione del c.d. filtro (134/2012) e, dall’altro lato, i nuovi parametri che prevedono una riduzione del compenso dell’avvocato nel caso di impugnazione dichiarata inammissibile o improcedibile (art. 10, D.M. 140/2012). 
Nel caso di controversie di lavoro esenti dal pagamento per mancato superamento dei limiti reddituali, la sanzione è inapplicabile.


2) Controversie sul contributo unificato. Difesa del Ministero anche senza ricorso all’Avvocatura dello Stato. 

Il comma 30 prevede che le disposizioni che consentono al Ministero dell’Economia di stare in giudizio direttamente o mediante l’ufficio del contenzioso (comma 2) ovvero, agli enti locali, di stare in giudizio mediante il dirigente dell’ufficio tributi o il titolare della posizione organizzativa in cui è collocato l’ufficio (comma 3) si applicano «anche agli uffici giudiziari per il contenzioso in materia di contributo unificato davanti alle Commissioni tributarie provinciali». 


3) I processi amministrativi. 

Viene previsto un incremento da 1.500 a 1.800 euro per i ricorsi cui si applica il rito abbreviato (in base al libro IV, titolo V del codice processo amministrativo e in forza di altre disposizioni che richiamino quel modello processuale). Il legislatore procede, poi, ad una rimodulazione del contributo unificato dovuto per i ricorsi relativi agli appalti e ai provvedimenti emessi dalle Autorità amministrative indipendenti (con l’esclusione, però, di quelli relativi al rapporto di servizio con i propri dipendenti). Ed infatti, se in precedenza il contributo dovuto era sempre pari a 4.000 euro ratione materiae, ora, invece, occorre guardare al valore: 

Valore della controversia                                                 Contributo dovuto 
Fino a 200.000 Euro compreso                                             2.000 Euro 
Compreso tra 200.000 e 1.000.000 Euro                        4.000 Euro 
Oltre 1.000.000 Euro                                                                 6.000 Euro

 Peraltro, per determinare il valore delle liti viene introdotto un comma 3-ter all’articolo 14 d.P.R. 115/2002 in base al quale «nei ricorsi di cui all'articolo 119, comma 1, lettera a) del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, si intende l'importo posto a base d'asta individuato dalle stazioni appaltanti negli atti di gara, ai sensi dell'articolo 29, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163. Nei ricorsi di cui all'articolo 119, comma 1, lettera b) del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, in caso di controversie relative all'irrogazione di sanzioni, comunque denominate, il valore è costituito dalla somma di queste». 

Sale, infine, a 650 euro il contributo unificato dovuto per tutti gli altri casi non previsti e per il ricorso straordinario al presidente della Repubblica (fino a non molto tempo fa esente!). 


4) Sanzione per omessa indicazione della PEC e del codice fiscale. 

Come noto la mancata indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata e del codice fiscale espone alla sanzione dell’aumento della metà del contributo unificato dovuto per quella controversia (commi 3 bis e 6 bis dell’art. 13, d.P.R. 115/2002). 
Tale importo è ancora aumentato della metà per i giudizi di impugnazione, ma solo con riferimento ai ricorsi in materia amministrativa dal momento che il comma 27 della legge di Stabilità lo prevede espressamente soltanto per il contributo previsto dal comma 6 bis dell’art. 13, d.P.R. 115/2002.